4 aprile 2022

Società. Confiscabile la casa del consigliere senza delega

Autore: Paola Mauro
L'art. 76, comma 1, D.P.R. n. 602 del 1973, nel testo introdotto dall'art. 52, comma 1, lett. g), del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98), che preclude all'Agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all'espropriazione dell’unico immobile abitativo di proprietà del debitore, non trova applicazione nell'ambito del processo penale e, pertanto, non impedisce il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell'abitazione dell'indagato per reati tributari.

Ad affermarlo è la sentenza n. 11087/2022 della Corte di Cassazione (Sez. III pen.) che si pone in linea di continuità con l’orientamento già espresso dalla stessa Corte con le sentenze n. 45707/2019, n. 8995/2020 e n. 6765/2022 (tanto per citarne alcune).

Il caso - Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Firenze ha confermato il decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente emesso in suo danno dal GIP dello stesso Tribunale, in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.lgs. n. 74 del 2000 commesso in concorso con altri (art. 110 c.p.).

In sintesi, l’indagato ha censurato l'ordinanza suddetta nella parte in cui ha ritenuto sussistere il fumus del reato tributario in questione senza indicare gli indizi relativi alla conoscenza o alla conoscibilità da parte sua del disegno criminoso ipotizzato, non essendo assolutamente sufficiente il richiamo offerto dai giudici del riesame, consistente nella sola condizione soggettiva della carica di consigliere di amministrazione.

Inoltre il ricorrente, sul presupposto di aver fornito la prova che l'immobile sottoposto a sequestro è l'unica e prima casa adibita a residenza familiare, ha censurato l'ordinanza impugnata laddove ha ritenuto che nei reati tributari il limite all'espropriazione immobiliare previsto dall'art. 76 D.P.R. n. 602/1973, opera solo nei confronti dell'Erario, non costituendo limite né all'adozione della confisca penale né al sequestro preventivo a essa finalizzato.

Ebbene, entrambe le doglianze sono state disattese dagli Ermellini.

Obbligo di vigilanza - Nel rigettare il ricorso, i Massimi giudici hanno osservato, quanto al primo profilo di censura, che il Tribunale ha ben applicato l'art. 2392 cod. civ., che regola la posizione di garanzia degli amministratori societari, posto che – si legge in sentenza - «in assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione del Consorzio, deve (con giudizio rebus sic stantibus, proprio di questa fase cautelare) ritenersi gravante su tutti i consiglieri, come sopra rilevato, la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti in essere dal consiglio di amministrazione, da riferirsi solidalmente a ciascuno di essi.»

La Corte aggiunge «I principi affermati nell'ordinanza impugnata sono perfettamente applicabili per i membri del consiglio di amministrazione di una società di capitali in assenza di deleghe su specifiche materie o attribuzioni concernenti la gestione della società. Immuni da censure devono ritenersi conseguentemente i rilievi spesi dal Tribunale in ordine alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 cod. civ. ricoperta dall'indagato che, proprio perché investito, al pari di ogni altro componente del consiglio di amministrazione, dei compiti di amministrazione diretta, aveva uno specifico obbligo di vigilanza, quand'anche di fatto le determinazioni sul conferimento dei sub-appalti e sui conseguenti obblighi tributari non fossero state da costui direttamente assunte, sull'andamento della gestione societaria o a titolo di dolo generico per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o, comunque, a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino».

Confiscabilità dell’abitazione familiare - Sul fronte dell’asserita insequestrabilità della “prima casa”, gli Ermellini hanno invece rilevato che il Tribunale del riesame ha correttamente richiamato il principio, affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall'art. 76, comma 1, lett. a), del D.P.R. 602 del 1973, nel testo introdotto dall'art. 52, comma 1, lett. g), D.L. n. 69 del 2013 (conv., con modif., in L. n. 98/2013), «opera solo nei confronti dell'Erario, per debiti tributari, e non di altre categorie di creditori, riguarda l'unico immobile di proprietà, e non la "prima casa" del debitore, e non costituisce un limite all'adozione né della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né del sequestro preventivo ad essa finalizzato. (Fattispecie, analoga alla presente, relativa alla confisca per equivalente dell'abitazione dell'indagato, quale profitto del delitto di cui all'art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74: Sez. 3, n. 8995 del 07/11/2019 - dep. 05/03/2020, Rv. 278275 - 01; conf.: Sez. 3, n. 30342 del 16/06/2021 - dep. 04/08/2021, Rossi, Rv. 282022 - 01; Sez. 3, n. 5608 del 20/10/2020, Telesca, non massimata)».

In altri termini, la disposizione in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte dell’Erario per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo.

Né a ben vedere – scrivono gli Ermellini -, «la disposizione in questione può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l'oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco […]. Il principio dell'inapplicabilità del limite dell'espropriazione nel procedimento penale per reati tributari trova, infine, fondamento anche in ragione del fatto che, a norma dell'art. 2740 cod. civ., il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e che le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Che, in specie, non sussiste».
  • In conclusione, secondo la S.C., le limitazioni imposte con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, riguardano il solo Agente della Riscossione e sono limitate a specifiche ipotesi e condizioni e non svolgono alcun effetto sulla misura cautelare reale imposta nel processo penale, avente finalità del tutto diverse.
Il ricorso dell’indagato, pertanto, è stato rigettato, con relativa condanna al pagamento delle spese processuali.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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