14 agosto 2025

Su TikTok un video offensivo è sempre diffamazione aggravata: cosa dice la nuova sentenza della Cassazione e cosa cambia

Con l'importante sentenza n. 29458 del 2025 la Corte di Cassazione chiarisce che un contenuto offensivo su TikTok integra sempre il reato di diffamazione aggravata, anche se visto subito dalla vittima

Autore: Miriam Carraretto
Immaginate un video postato su TikTok che offende una persona: secondo la sentenza n. 29458 del 2025 della Corte di Cassazione, non si tratta mai di ingiuria, ma sempre di diffamazione aggravata. E non importa se l’offesa viene vista "dal vivo" su video: resta un reato grave. La diffusione di un video offensivo su una piattaforma social come TikTok integra il reato di diffamazione aggravata, anche se la persona offesa assiste alla trasmissione in diretta e può inserire commenti, perché questi strumenti non garantiscono un contraddittorio immediato, reale ed effettivo.

Vediamo cosa dice nel dettaglio la sentenza e perché rappresenta un punto di svolta importantissimo in Italia, che potrebbe persino fare da apripista per nuove regole sui social.

Il caso

La Suprema Corte si è pronunciata su un caso che ha acceso il dibattito giuridico sulla qualificazione penale delle offese diffuse tramite social. La vicenda parte da un episodio nel Mantovano. Una donna pubblica su TikTok un video in cui rivolge parole offensive a un uomo, accusandolo di aver bullizzato suo figlio, gravemente malato. L’uomo assiste alla trasmissione in diretta del video, quindi, come ovvio, non è in presenza fisica: è collegato da remoto.
In tribunale, i legali della donna si difendono sostenendo che il suo intervento è una reazione a un fatto ingiusto, che al massimo si tratta di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, reato ormai depenalizzato; e che la presenza virtuale dell’uomo nella diretta esclude la diffamazione.
La Suprema Corte non è d’accordo. Ricorda che la differenza tra ingiuria e diffamazione sta nella presenza della persona offesa. L’ingiuria avviene quando la vittima è lì, direttamente coinvolta e in grado di replicare subito; nella diffamazione, invece, l’offeso è assente dalla comunicazione e non può interloquire.
Ma qui arriva il punto chiave: la Cassazione riconosce che oggi possiamo parlare di presenza fisica anche quando è virtuale, come in una call o una videoconferenza, ma solo se c’è un contraddittorio reale e immediato, in condizioni di parità. In una diretta TikTok, la possibilità di commentare non basta: i commenti sono filtrati, non garantiscono un vero dialogo, e soprattutto il video resta online, può essere condiviso e visto da altri, amplificando l’offesa.

La differenza tra ingiuria e diffamazione

Il primo passo per capire la portata di questa sentenza è proprio cogliere bene la distinzione tra diffamazione e ingiuria.
Ingiuria era una volta l’offesa in presenza della persona, ora è solo un illecito civile. Diffamazione invece è l’offesa resa pubblica, anche in forma digitale, e qui entra in gioco TikTok, che, in quanto social, ha il potere pericolosissimo di amplificare ogni contenuto diffamatorio attraverso condivisioni e commenti.
La Cassazione ha precisato che la “presenza” può essere anche a distanza, ad esempio in videoconferenza, purché sia garantita la possibilità di un contraddittorio effettivo e immediato.

Cosa dice la Cassazione

Con la sentenza n. 29458/2025, la Corte chiarisce che un post offensivo su TikTok è sempre diffamazione aggravata, non ingiuria. Questo rafforza l’importanza di una gestione preventiva della reputazione online, soprattutto in uno scenario dove anche una condivisione può diventare un reato.

La Cassazione ha ribadito di fatto che TikTok è un mezzo pubblico: ogni contenuto offensivo che viene caricato resta accessibile a più persone e questa visibilità, giocoforza, trasforma automaticamente il gesto in diffamazione aggravata. Anche se la vittima “lo vede subito”, non cambia la natura del reato. Il contenuto è già stato oggetto di diffusione, quindi si configura giuridicamente come una lesione più grave dell’onore.

Nel caso dei video pubblicati su TikTok, infatti, secondo i giudici, la chat testuale non assicura un’interlocuzione diretta e paritaria, né garantisce la sostanziale parità delle armi. Inoltre, i contenuti restano online per giorni e possono essere condivisi, amplificando come detto prima la portata dell’offesa e impedendo alla vittima un’effettiva possibilità di replica.

Qual è il perimetro operativo per professionisti

Nota a margine per i professionisti legali e fiscali. La sentenza pone infatti anche al centro, seppur in modo indiretto, il ruolo dei consulenti, legali e fiscali, che devono stare molto attenti ai comportamenti dei propri clienti.

Qualche suggerimento. Prima cosa, occhio alla reputazione digitale del proprio cliente, che va sempre tutelata: il monitoraggio dei social del cliente diventa fondamentale. Un’offesa può scatenare contenziosi civili o penali.

Massima attenzione anche a contratti e policy: utilissimo includere clausole che obblighino a rimuovere contenuti offensivi al primo sollecito.

Infine, e non da meno, state attenti ai rischi fiscali indiretti: se l’autore della diffamazione è chiamato a risarcire, potrebbero emergere questioni pesanti e delicate legate alla deducibilità o imposte sulle somme liquidate.
 © FISCAL FOCUS Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy