18 dicembre 2025

Nessuna immunità per la “testa di legno”: responsabilità penale dell’amministratore di facciata per gli infortuni

Provvedimento: Sent. 39520, Sez.  IV del 09-12-2025

Fiscal Sentenze n. 40 - 2025
Autore: Angela Taverna

Oggetto: Responsabilità penale dell’amministratore fittizio in caso di infortuni sul lavoro

 

Riferimenti Normativi

Codice penale

  • Art. 589 c.p. (omicidio colposo) – richiamato anche come art. 589, comma 2 c.p.
  • Art. 40 c.p. (rapporto di causalità / causalità omissiva: richiamo anche al comma 2)
  • Art. 41 c.p. (concorso di cause)
  • Art. 133 c.p. (criteri di commisurazione della pena)
  • D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico Sicurezza sul lavoro)
  • Art. 159, comma 2, lett. c)
  • Art. 146, comma 1
  • Art. 60, comma 1, lett. a)
  • Art. 18, comma 1, lett. d)
  • Art. 2 (definizioni, tra cui “datore di lavoro”)
  • Art. 299 (esercizio di fatto di poteri direttivi e relative posizioni di garanzia)
  • Art. 16 (delega di funzioni)

Premessa

La Cassazione non “salva” l’amministratore di facciata. La c.d. “testa di legno” “paga” per non aver vigilato su alcuni aspetti aziendali.

Il fatto

F.B., dipendente di una ditta edile, si trovava sul tetto di un’abitazione per la rimozione e lo smaltimento di una copertura in amianto. Durante le operazioni, camminando lungo la copertura, calpestava un lucernaio in plexiglas ormai privo di qualsivoglia resistenza, che cedeva e si frantumava in mille pezzi. La rottura determinava la caduta dell’operaio da un’altezza superiore a 12 metri, provocandone la morte sul colpo. 

Il Piano di Sicurezza e Coordinamento adottato dall’azienda prevedeva misure specifiche idonee a prevenire un simile evento, tra cui l’uso di andatoie e passerelle, l’impiego di imbracature e, più in generale, l’adozione di misure preventive adeguate a tutela del lavoratore. Nel verbale di coordinamento dell’8 luglio 2016 era prevista una suddivisione delle attività tra più imprese, ma la sentenza ha evidenziato che l’allestimento dei ponteggi faceva capo all’impresa principale affidataria, secondo la ricostruzione accolta dai giudici.

Venivano contestate gravi omissioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare la mancata predisposizione di protezioni collettive come sottoponti, reti di sicurezza, e intavolati di protezione, senza contare l’omessa fornitura di dispositivi di protezione individuale adeguati (imbracature, cinture di sicurezza, dispositivi anticaduta obbligatori nei lavori in quota), e l’inosservanza, in sostanza, delle misure previste dal PSC. Gli unici accorgimenti risultavano estremamente limitati e si riducevano alla presenza di un ponteggio di piccole dimensioni, traballante e mal posizionato. 

In primo grado (Tribunale di Palmi), i giudici hanno riconosciuto la responsabilità dell’amministratrice unica, ritenendola responsabile del reato di omicidio colposo aggravato (art. 589, comma 2, c.p.), condannandola a un anno di reclusione, oltre alle statuizioni civili. In secondo grado, la condanna è stata confermata: è stato ribadito che l’impresa principale non aveva adottato tutte le misure necessarie previste dal piano di sicurezza. È stata quindi confermata la responsabilità dell’amministratrice, che, pur ricoprendo (secondo la difesa) un ruolo meramente “di facciata” e pur non assumendo decisioni operative all’interno dell’azienda, era comunque tenuta a vigilare sull’effettiva adozione delle misure antinfortunistiche.

La decisione della Corte

Anche la Corte di Cassazione ha confermato le valutazioni dei giudici di merito. L’amministratore di una società è figura di garanzia: ai sensi del D.Lgs. 81/2008 è titolare di specifici obblighi prevenzionistici in quanto datore di lavoro (o soggetto ai vertici dell’organizzazione della sicurezza). I terzi fanno affidamento sulla presenza del legale rappresentante e, su tale figura, ricadono fiducia e responsabilità. Il principio di effettività non “salva” l’amministratore in sede penale: l’amministratore unico risponde della gestione dell’azienda anche nell’ipotesi della c.d. “testa di legno”, specie quando i vizi nella gestione della sicurezza risultino gravi, evidenti e non trascurabili. Non è sufficiente neppure una delega “a terzi” della sicurezza: la delega non esonera automaticamente dalla responsabilità penale se manca, in capo all’organo amministrativo, un’effettiva organizzazione e gestione dei rischi e un concreto sistema di controllo sull’attuazione delle misure prevenzionistiche.

L'esperto

Quali obblighi di vigilanza gravano sull’amministratore “di facciata”, anche quando il potere decisionale è esercitato di fatto da altri?
 

No, l’amministratore anche se di facciata non è mai esonerato da responsabilità solo perché non partecipa attivamente alla vita aziendale. L’investitura, anche se formale, comporta l’assunzione di doveri ex art. 2392 e ss. c.c. Gli Ermellini ribadiscono che chi accetta la carica risponde della sua inerzia colpevole.

Quando l’amministratore apparente può essere ritenuto responsabile, e quali condotte omissive integrano una violazione dei doveri gestori?
 

L’obbligo di vigilanza è assoluto. L’amministratore di diritto deve sincerarsi sulla corretta gestione esercitando un controllo continuo e attivo sulla gestione. Non può limitarsi a firmare “ciecamente” documenti o a prestare solo il proprio nome. Deve pretendere trasparenza chiedendo la verifica della situazione finanziaria. 

Qual è il limite oltre il quale l’inerzia si trasforma in responsabilità (anche penale)? 

Il limite viene superato quando l’amministratore omette, senza alcuna giustificazione, di effettuare i minimi controlli richiesti dal ruolo, facendo sì che le irregolarità o le violazioni di legge diventino abnormi. Sul piano penale, l’omissione può integrare concorso nei reati dell’amministratore di fatto, specie quando l’inerzia agevola condotte come bancarotta o frodi fiscali.

Esempio 

Un amministratore unico di una S.r.l. operante nel settore dell’edilizia e degli impianti accetta la carica a condizione che si tratti di un ruolo meramente formale, lasciando che tutta la gestione operativa sia svolta da chi, di fatto, dirige l’attività. L’amministratore non controlla né vigila sulla redazione del DVR aziendale, non verifica lo stato delle attrezzature e non si assicura che i lavoratori utilizzino i DPI (dispositivi di protezione individuale).

Durante un lavoro in quota, un operaio cade da un ponteggio montato in modo irregolare, privo delle caratteristiche tipiche della tipologia prevista e, in alcuni punti, addirittura “arrangiato” con mezzi di fortuna.

Nonostante non dirigesse il cantiere, l’amministratore “di facciata” viene ritenuto responsabile: la sua totale inerzia gli è addebitata poiché la normativa sulla sicurezza impone comunque un obbligo minimo e non delegabile di vigilanza in capo all’organo amministrativo.

La mancata verifica accerta che l’amministratore ha consapevolmente accettato un ruolo puramente nominale, con una gestione coscientemente priva di presidi essenziali per la tutela dei lavoratori. Tale mancanza di interesse per quelli che sono i doveri minimi connessi alla carica ricoperta determina, per la Cassazione, una condotta colposa idonea a fondare la sua responsabilità.

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