16 ottobre 2025

Controlli investigativi: legittimo il licenziamento per soste prolungate al bar

Giuslavoro n. 36 - 2025
Autore: Paola Mauro

 

Il datore di lavoro può avvalersi di agenzie investigative quando le indagini si svolgono in luoghi pubblici e hanno per oggetto comportamenti illeciti (anche penalmente rilevanti) o condotte idonee a raggirare il datore, ledere il patrimonio aziendale o danneggiare immagine e reputazione. Non è invece legittimo l’uso di indagini finalizzate a controllare le modalità di adempimento dell’obbligazione lavorativa. Il principio è stato affermato dalla Cassazione nel caso di un addetto alla raccolta di rifiuti porta a porta licenziato perché, durante il turno, trascorreva ripetutamente troppo tempo nei bar.
 

 

Indice argomenti 

  • Controlli investigativi: legittimo il licenziamento per soste prolungate al bar
  • Il caso: pause (durante l’orario di lavoro) eccedenti la previsione legale e contrattuale
  • L’esperto risponde

Inquadramento della fattispecie

In presenza del fondato sospetto di comportamenti suscettibili di rilevanza penale o di lesione del patrimonio e dell'immagine aziendale, la giurisprudenza di legittimità autorizza il datore di lavoro ad avvalersi dell’operato di agenzie investigative.

Si tratta dei cosiddetti controlli difensivi.

Ebbene, con riguardo a tale delicato tema, si segnala la recente ordinanza n. 8710/2025 della Corte di Cassazione – Sezione lavoro.

Il caso trattato riguarda un addetto al ritiro porta a porta di rifiuti urbani, licenziato perché, durante il turno svolto al di fuori dell'azienda, si intratteneva abitualmente presso diversi bar per un periodo di tempo che eccedeva ampiamente l'arco temporale previsto dall'articolo 8 del D.lgs. n. 66 del 2003[i], fatto accertato dal datore di lavoro tramite attività investigativa.

La pronuncia in questione è stata massimata come segue:

«In tema di controlli a distanza dell'attività dei lavoratori, rientra nei poteri del datore di lavoro avvalersi di agenzie investigative, ove l'attività di indagine sia esercitata in luoghi pubblici e non sia diretta a verificare le modalità di adempimento dell'obbligazione lavorativa bensì ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore, suscettibili di rilievo penale o, comunque, idonei a raggirare il datore di lavoro e a ledere il patrimonio aziendale ovvero l'immagine e la reputazione dell'azienda all'esterno.»  

Il caso: pause (durante l’orario di lavoro) eccedenti la previsione legale e contrattuale

Quadro probatorio

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto da G.F. avverso la conferma in secondo grado del licenziamento intimatogli per violazioni disciplinari connesse alle frequenti e prolungate soste in alcuni esercizi pubblici-bar dei Comuni ove il lavoratore - addetto al ritiro porta a porta di rifiuti urbani – doveva svolgere il servizio.

 Nel processo il fatto è stato comprovato:

  • dalla relazione di un’agenzia investigativa;
  • all’analisi del sistema GPS installato sui mezzi di raccolta dei rifiuti guidati dal dipendente;
  • alla deposizione di diversi testimoni.

Con particolare riguardo all’utilizzazione degli esiti della relazione investigativa, la Corte d’Appello ha sottolineato che l’indagine era stata delegata solamente dopo il sorgere del sospetto, da parte del datore di lavoro, della violazione di obblighi derivanti dal CCNL e dal contratto individuale, che i comportamenti rilevati erano estranei all’attività lavorativa e che tale condotta incideva in maniera rilevante sul patrimonio aziendale (esponendo la società, appaltatrice del servizio di raccolta della nettezza urbana, al rischio di applicazione delle sanzioni previste dal Capitolato di appalto, e compromettendone l’immagine presso il pubblico).

Per la Corte territoriale, inoltre, i comportamenti integravano, una condotta fraudolenta, in particolare, con riguardo alla giornata in cui il servizio era terminato con largo anticipo e il lavoratore aveva trascorso il resto del turno di lavoro presso un esercizio pubblico, per poi far rientro in cantiere e compilare il foglio presenze in corrispondenza dell’orario finale. 

In definitiva, la Corte di appello ha ritenuto proporzionato il provvedimento espulsivo rispetto all’infrazione disciplinare contestata avuto, complessivamente, riguardo:

  • alla natura della violazione;
  • alla loro reiterazione (che aveva determinato un richiamo da parte della committente); 
  • alle modalità della condotta;
  • all’elemento soggettivo (intenzionalità).

Questa valutazione ha trovato l’avallo della Suprema Corte.

Il perimetro dei poteri di controllo datoriale

Nel motivare la propria decisione sfavorevole al lavoratore, gli Ermellini chiariscono – in sintesi -, sulla scorta del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, che il datore di lavoro può legittimamente rivolgersi ad agenzie investigative per raccogliere informazioni sui comportamenti del lavoratore purché le indagini avvengano in luoghi pubblici e siano dirette a verificare fatti che possano integrare una conduzione illecita — ad esempio condotte penalmente rilevanti o atti idonei a raggirare il datore, a ledere il patrimonio aziendale o a danneggiare l’immagine e la reputazione dell’impresa. 

In altre parole, è ammesso investigare non per “spiare” come il lavoratore svolge la propria prestazione, ma per accertare fatti esterni alla regolarità dell’adempimento che costituiscono un rischio concreto per l’azienda.

Non è legittimo, quindi, che le investigazioni siano strumentali al controllo quotidiano delle modalità di esecuzione del lavoro o che invadano la sfera privata oltre quanto necessario per accertare l’illecito. 

L’esercizio di attività investigative deve rispettare il perimetro della proporzionalità e della liceità, evitando modalità intrusive e collocate in ambiti privati non accessibili al pubblico.

Nel caso di specie, le indagini condotte in luogo pubblico hanno consentito di accertare comportamenti idonei a compromettere il rapporto di fiducia e gli interessi aziendali, e ciò ha reso legittimo – per i giudici tanto di merito quanto di legittimità - il licenziamento disciplinare.

Cass., Sez. L, Ord. n. 8710/2025, in motivazione, evidenzia – si riporta testualmente - che «“l’accertamento circa la riferibilità (o meno) del controllo investigativo allo svolgimento dell’attività lavorativa rappresenta una indagine che compete al giudice del merito, involgendo inevitabilmente apprezzamenti di fatto” (in termini, da ultimo, Cass. n. 22051 del 2024).

  • Nella fattispecie in esame, il convincimento della Corte territoriale si è basato sull'esito di un'attività investigativa, oggetto anche di prova testimoniale degli investigatori, rientrante nei poteri di controllo datoriale, in quanto esercitata in luoghi pubblici, ove è stato accertato che, per alcuni giorni, il lavoratore aveva adottato comportamento illecito, suscettibile altresì di rilievo penale o, comunque, idoneo a raggirare il datore di lavoro e a ledere non solo il patrimonio aziendale ma anche l’immagine e la reputazione dell’azienda all’esterno.
  • Deve, pertanto, ritenersi corretto il riferimento dei giudici di seconde cure al fatto che, nel caso in esame, il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento dell'obbligazione lavorativa, bensì il compimento di atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale.»  

Di qui il rigetto del ricorso del lavoratore, nei confronti del quale i Massimi giudici di Piazza Cavour hanno pronunciato condanna al pagamento delle spese processuali.

L’esperto risponde

È legittimo che il datore di lavoro incarichi un’agenzia investigativa per accertare le soste prolungate di un lavoratore addetto a servizi fuori sede (es. raccolta rifiuti) presso pubblici esercizi?

Sì. L’uso di agenzie investigative è legittimo quando il controllo è finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare illeciti (anche penalmente rilevanti) o attività fraudolente e non è finalizzato al mero accertamento dell’adempimento/inadempimento della prestazione. Il controllo non deve sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa riservata al datore di lavoro, ma può essere effettuato anche occultamente e in luoghi pubblici quando sussista il sospetto di illeciti idonei a ledere il patrimonio o l’immagine aziendale. 

Il semplice superamento dei tempi di pausa previsti da norme o contratto (es. fermarsi più volte al bar) giustifica sempre l’impiego di investigazioni e illeciti disciplinari gravi?

No. Il mero inadempimento o la semplice irregolarità nella fruizione delle pause non giustificano di per sé controlli investigativi né misure estreme; invece sono giustificabili controlli delegati e sanzioni quando la condotta eccedente si traduca in atti illeciti, in attività fraudolenta o in comportamenti che incidono in modo significativo sul patrimonio o sull’immagine dell’impresa. 

Può essere proporzionato il licenziamento disciplinare quando il lavoratore — dopo soste prolungate fuori sede — rientra in cantiere e compila il foglio presenze segnando l’orario di fine turno?

Sì. Il licenziamento può essere proporzionato se ricorrono elementi concreti di gravità: reiterazione della condotta, modalità fraudolente (es. rientro tardivo solo per registrare l’uscita), compromissione del patrimonio o dell’immagine aziendale e idoneità della prova (anche derivante da indagine investigativa) a dimostrare l’illiceità. La valutazione sulla sussistenza e sul collegamento del controllo all’attività lavorativa è di merito, ma i suddetti elementi rendono legittimo il provvedimento espulsivo secondo i principi espressi dall’ordinanza n. 8710/2025 della Suprema Corte.

Caso pratico

La società Alfa S.r.l., appaltatrice del servizio di pulizia e manutenzione del verde pubblico per conto del Comune di Beta, riceve alcune segnalazioni da cittadini secondo cui uno dei suoi dipendenti, Mario Rossi, addetto alla manutenzione dei parchi, non svolgerebbe regolarmente il lavoro assegnato, ma passerebbe parte del turno in luoghi diversi da quelli di servizio.

Il lavoratore, durante l’orario di lavoro, opera prevalentemente all’esterno, spostandosi tra diversi parchi cittadini con un mezzo aziendale.

Poiché le segnalazioni sono generiche e non sufficienti a fondare un provvedimento disciplinare, il datore di lavoro decide di incaricare un’agenzia investigativa privata di svolgere controlli per alcuni giorni.

Gli investigatori operano in luoghi pubblici, senza accedere a spazi aziendali né utilizzare strumenti di sorveglianza occulta (telecamere o GPS).

Nel corso dell’indagine, viene accertato che Mario Rossi, invece di eseguire le attività previste (sfalcio erba, raccolta rifiuti, manutenzione panchine), trascorre oltre due ore al giorno presso un bar e, in altri casi, si reca a fare commissioni personali durante il turno, pur risultando regolarmente in servizio.

Il datore di lavoro, ricevuta la relazione dell’agenzia, procede a contestazione disciplinare e, dopo le giustificazioni ritenute insufficienti, dispone il licenziamento per giusta causa, per frode e grave e inadempimento degli obblighi contrattuali.

Marco Rossi impugna il licenziamento sostenendo che:

  • le prove raccolte sono illegittime, poiché equivalgono a un controllo a distanza vietato dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970);
  • il datore avrebbe dovuto utilizzare mezzi interni di controllo e non un’agenzia investigativa.

Il Tribunale (e successivamente la Corte d’Appello) respinge il ricorso e la Cassazione conferma, precisando che è legittimo l’utilizzo di agenzie investigative da parte del datore di lavoro quando le indagini avvengono in luoghi pubblici e sono finalizzate non a controllare l’esecuzione della prestazione lavorativa, ma ad accertare comportamenti illeciti (ad esempio l’abbandono del posto di lavoro, la falsa attestazione della presenza o l’appropriazione indebita di beni aziendali).

Nel caso specifico, il controllo investigativo è ritenuto legittimo e il licenziamento giustificato per le seguenti ragioni:

Le indagini non avevano lo scopo di verificare come Mario Rossi svolgesse il suo lavoro, ma se lo svolgesse o meno, alla luce di sospetti di condotta fraudolenta.
Gli accertamenti si sono svolti in spazi pubblici, senza violare la privacy del lavoratore.
Il comportamento accertato è idoneo a ledere il patrimonio e l’immagine aziendale, poiché Mario Rossi è stato retribuito per ore in cui non prestava attività lavorativa.
Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 - Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.

Art. 8 - Pause

  • «1. Qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo.
  • 2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, in difetto di disciplina collettiva che preveda un intervallo a qualsivoglia titolo attribuito, al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l'inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
  • 3. Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, rimangono non retribuiti o computati come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata i periodi di cui all'articolo 5 regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, e successivi atti applicativi, e dell'articolo 4 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1956, e successive integrazioni.»  
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