27 ottobre 2025

Work for Equity, patti parasociali e Start-up Innovative - Parte II

Una leva strategica per la crescita

In Pratica n. 37 - 2025
Autore: Fabiano De Leonardis

 

Il Work for Equity è lo strumento che permette alle start-up di remunerare i servizi qualificati con quote societarie, preservando la liquidità. L'efficacia e la stabilità di queste assegnazioni sono garantite dai Patti Parasociali, che definiscono le regole di governance e le conseguenze in caso di uscita del socio. La corretta combinazione di questi due strumenti è vitale per la crescita e la stabilità del team.

Premessa

Le start up innovative operano in un contesto di incertezza finanziaria e competizione serrata per l'acquisizione di risorse umane di eccellenza. Nelle fasi iniziali, la scarsità di liquidità rappresenta il principale ostacolo all'ingaggio di professionisti di alto profilo.

In questo scenario, il Work for Equity (WfE) emerge come soluzione finanziaria e strategica: offrendo partecipazioni societarie in cambio di prestazioni d'opera, la start up conserva la liquidità e, al contempo, allinea gli interessi del collaboratore con il successo a lungo termine dell'impresa; in tal modo, il professionista si trasforma da mero fornitore di servizi a socio, scommettendo sul valore futuro della società.

Tuttavia, l'ingresso di nuovi soci deve essere attentamente gestito per prevenire futuri conflitti o diluizioni indesiderate. È qui che entrano in gioco i Patti Parasociali, quali strumenti contrattuali che non alterano lo Statuto ma regolamentano in dettaglio i rapporti tra i soci, stabilendo norme chiare per la gestione delle quote WfE, in particolare in caso di cessazione del rapporto di collaborazione. L'interazione tra questi tre elementi, Start-up, WfE e Patti Parasociali, costituisce un ecosistema legale e gestionale imprescindibile per il fundraising e la stabilità del team.

Il Work for Equity

Il Work for Equity è stato introdotto e disciplinato nell'ordinamento italiano con l'obiettivo specifico di sostenere le imprese innovative. L'istituto è stato regolamentato dall' art.27 del D.L. n. 179/2012, così come modificato ed ampliato dall’art.4 del D.L.  n.3 del 24.01.2015 (noto come "Investment Compact"),e  introduce delle agevolazioni materia di remunerazione ed incentivazione dei dipendenti e prestatori di servizi esterni alle società che si qualificano come Start up e PMI innovative. In dettaglio: i commi 1, 2 e 3 riguardano i cosiddetti Piani di incentivazione per le remunerazioni corrisposte al personale dei soggetti abilitati quali amministratori, dipendenti e collaboratori continuativi e che svolgono la loro attività sostanzialmente all'interno dell'organizzazione; il comma 4 riguarda il Wok for Equity in senso stretto ovvero i compensi spettanti ai soggetti che hanno un rapporto esterno con la società e che, in assenza di un vincolo di subordinazione, prestano a favore della stessa opere o servizi e vi rientrano, in tale categoria, professionisti esterni, consulenti e fornitori, diversi dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori continuativi,  il cui compenso è riconducibile al reddito di lavoro autonomo.

  • I compensi oggetto dell’agevolazione devono consistere nell’attribuzione di quote, azioni, stock option e strumenti finanziari partecipativi, emessi dal soggetto abilitato o da altra società da questo direttamente controllata; non potranno beneficiare della suddetta agevolazione i compensi in denaro in qualunque forma erogati. Detto ciò, nel caso in cui la società abilitata intenda attribuire ai propri beneficiari uno dei suindicati compensi, deve anzitutto procedere con l’adozione di un accordo o regolamento che ne disciplini espressamente i termini e le condizioni di emissione e maturazione.

Tuttavia, il cuore dell'incentivo risiede nel regime fiscale e contributivo di favore. I principali vantaggi fiscali del Work for Equity si basano sui concetti di neutralità fiscale e tassazione differita, che rendono il compenso in equity molto più efficiente, dal punto di vista del cash flow, rispetto a un compenso in denaro.

  • Neutralità fiscale: si verifica al momento dell'assegnazione delle azioni, delle quote o degli strumenti finanziari partecipativi al prestatore d'opera. In sostanza, il valore delle partecipazioni assegnate, connesse al servizio o dell'opera fornita, non concorre alla formazione del reddito imponibile del beneficiario al momento dell'attribuzione. Tradotto: per il dipendente/amministratore, il valore è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o assimilato; per il professionista esterno, il valore è escluso dalla formazione del reddito di lavoro autonomo. Inoltre, il compenso in equity, essendo escluso dalla base imponibile fiscale, non è soggetto a contribuzione previdenziale INPS, generando un notevole risparmio.
  • Tassazione differita: la tassazione del compenso in equity non è annullata, ma differita nel tempo, realizzandosi solamente quando il beneficiario decide di monetizzare la sua partecipazione. L'imposta viene pagata solo nel momento in cui il socio vende a titolo oneroso ossia cede le azioni o quote ad un terzo. Il compenso viene tassato come reddito diverso di natura finanziaria (la cosiddetta plusvalenza o capital gain), non come reddito da lavoro.

Applicata all'ambito del Work for Equity, la plusvalenza è la differenza tra quanto il prestatore d'opera incassa vendendo le sue quote o azioni e quanto quelle quote sono state valutate al momento dell'assegnazione. La base imponibile è data dalla differenza tra il corrispettivo incassato al momento della vendita ed il costo fiscale di acquisto, ossia  il valore attribuito all'apporto professionale al momento dell'assegnazione. La plusvalenza è assoggettata all'imposta sostitutiva del 26% (aliquota forfettaria). Nella maggior parte dei casi, questa aliquota è inferiore alle aliquote progressive IRPEF che sarebbero state applicate se il compenso fosse stato erogato come reddito da lavoro.

In sostanza, il WfE offre al professionista un differimento del carico fiscale e, spesso, un'aliquota finale più vantaggiosa rispetto a quella applicata a un normale stipendio o parcella.

Assodata l’esenzione fiscale, nei termini sopradescritti, un aspetto che merita di esser approfondito concerne l’esenzione anche di natura contributiva. Le origini del dilemma trovano radice nella previsione del richiamato art. 27, comma 1 del D.L. n. 179/2012 laddove prevede che il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione di azioni, quote e strumenti finanziari partecipativi a dipendenti, amministratori e collaboratori “non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi”; per converso, una tale precisione ed accuratezza espressiva non la si rintraccia nel comma 4 in cui viene statuito che “Le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte dell'apporto di opere e servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero di crediti maturati a seguito della prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali, resi nei confronti degli stessi, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto”. Sulla stessa linea, si pone la relazione illustrativa al decreto, la quale chiarisce che “Il comma 4 reca il regime fiscale dell’apporto di opere e di servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati. In particolare, si precisa non concorrono a formare l’imponibile fiscale le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a titolo di corrispettivo per l’apporto di opere e servizi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero a fronte di crediti maturati per la prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali. Azioni, quote e strumenti finanziari relativi non concorrono pertanto alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto…..al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento”.
La normativa richiamata sembrerebbe lasciar intendere, di primo acchito, che l’apporto di opere e servizi di cui al comma 4 godrebbe unicamente di un’agevolazione meramente fiscale ma non contributiva. Da qui, le origini del dilemma dell’INPS ovvero se le prestazioni dei professionisti iscritti alla gestione separata siano o meno rilevanti ai fini della contribuzione. Sebbene non vi sia un diretto e univoco chiarimento di prassi da parte dell’Agenzia delle Entrate, la risposta la si può rintracciare nel principio di derivazione fiscale quale concetto cardine nel diritto tributario e previdenziale italiano e che stabilisce una connessione diretta tra la base imponibile utilizzata per il calcolo delle imposte sul reddito e quella utilizzata per il calcolo dei contributi previdenziali: in altri termini, il calcolo dei contributi previdenziali deriva da ciò che è fiscalmente rilevante.

A suffragare le argomentazioni soprariportate, si richiama la Circolare INPS 32 del 07/02/2001 in cui si afferma che “Resta comunque fermo il disposto dell’art.2, comma 29, della legge n.335/1995, in base al quale il contributo previdenziale deve essere applicato sul reddito delle attività determinato con gli stessi criteri stabiliti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quale risulta dalla relativa dichiarazione annuale dei redditi e dagli accertamenti definitivi”. Questo principio crea un collegamento diretto e vincolante tra la base imponibile previdenziale e la base imponibile fiscale. La norma in materia di WfE prevede che le quote ed azioni assegnate al professionista a fronte di opere o servizi non concorrono alla formazione del reddito imponibile IRPEF al momento dell'assegnazione e questo implica che, al momento dell'emissione, il valore dell'equity ha un'imponibilità fiscale pari a zero. In base al principio della Circolare INPS, se un componente non concorre alla formazione del reddito IRPEF, esso non può concorrere a formare la base su cui calcolare i contributi previdenziali.

 I patti parasociali 

I patti parasociali sono accordi contrattuali esterni allo Statuto sociale, stipulati tra i soci, la cui funzione è quella di regolare i rapporti reciproci e la gestione della società; la normativa di riferimento è l’ art. 2341-bis c.c.: “I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo”. A seguire, l’ art. 2341-ter c.c. ne disciplina il regime di pubblicità: “Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o con azioni negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione i patti parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese. In caso di mancanza della dichiarazione prevista dal comma precedente i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e le deliberazioni assembleari adottate con il loro voto determinante sono impugnabili a norma dell'articolo 2377”. Infine, gli articoli 122 e 123 TUF e le Comunicazioni CONSOB in materia contengono una disciplina speciale dei patti parasociali che interessano le società quotate.

I patti parasociali sono contratti stipulati tra alcuni o tutti i soci di una società per regolare, al di fuori dell' Atto Costitutivo e dello Statuto, l'esercizio dei loro diritti sociali e le dinamiche interne alla compagine. Le principali caratteristiche possono essere così sintetizzate:

  • natura contrattuale: sono accordi di diritto privato, con la conseguenza che vincolano esclusivamente i soci che li sottoscrivono;
  • efficacia obbligatoria: hanno una mera efficacia obbligatoria, non reale e ciò significa che la loro violazione non rende l'atto societario (es. la delibera assembleare) nullo o invalido nei confronti della società o dei terzi, ma genera solo il diritto al risarcimento del danno in capo alla parte inadempiente;
  • riservatezza: a differenza dello Statuto, pubblico e depositato, il contenuto dei patti parasociali è generalmente riservato, garantendo flessibilità e discrezione.

Nelle start-up, i patti parasociali sono essenziali per tre motivi principali:

  • regolazione della Governance: permettono di stabilire regole di governance più dettagliate, flessibili e rapidamente aggiornabili rispetto allo Statuto, soprattutto in fasi di crescita accelerate e con l'ingresso di nuovi soci (come investitori o professionisti WfE);
  • anticipazione e prevenzione dei conflitti: definiscono in anticipo come risolvere situazioni di stallo decisionale (deadlock) o di uscita dei soci, prevenendo lunghe e costose controversie legali che metterebbero a rischio la sopravvivenza della società;
  • tutela degli investitori e dei fondatori: forniscono le garanzie necessarie agli investitori (clausole di protezione) e tutelano al contempo il controllo strategico dei fondatori (sindacati di voto).

I patti parasociali sono accordi vincolanti tra i soci di una società, stipulati al di fuori dello Statuto, cruciali per regolare l'esercizio del voto, la gestione delle partecipazioni o altre materie sociali, garantendo stabilità a un accordo di investimento. Per evitare che i soci restino vincolati in modo eccessivamente lungo, limitando la loro libertà di voto e di trasferimento delle partecipazioni, la legge stabilisce dei limiti di durata. Sia per le S.p.A. che, per estensione normativa (Art. 2468, comma 5, c.c.), per le S.r.l., la durata massima di un patto parasociale è fissata a cinque anni (Art. 2341-bis c.c.). I patti possono comunque essere rinnovati alla scadenza, tramite la stipula di un nuovo accordo espresso. In linea generale, la legge tutela comunque la libertà del singolo socio prevedendo il diritto di recesso: qualsiasi socio ha la facoltà di sciogliersi dal vincolo, a condizione che rispetti un preavviso di 180 giorni. Questo preavviso serve a concedere alle altre parti coinvolte il tempo necessario per riorganizzare i rapporti a seguito dell'uscita del socio, in linea con il principio generale di evitare vincoli perpetui sulla libertà negoziale.

Esistono varie tipologie di patti, per conseguire diverse finalità.   

  • Sindacato di voto: trattasi di un accordo con cui i soci si impegnano a esercitare il proprio diritto di voto in assemblea secondo un indirizzo comune e predeterminato (ad esempio, votando all'unanimità o secondo la maggioranza del sindacato) ed ha lo scopo di stabilizzare la governance;
  • Sindacato di blocco: è un accordo che pone limiti al libero trasferimento delle azioni o delle quote come , a titolo esemplificativo, il divieto di vendita per un certo periodo (lock up) o l’obbligo di offrire la partecipazione prima agli altri soci (prelazione). Ha lo scopo di stabilizzare la compagine sociale;
  • Patto relativo al finanziamento della società: si sostanzia nell’impegno dei soci a fornire risorse finanziarie alla società, ad esempio attraverso prestiti o sottoscrivendo aumenti di capitale, in caso di necessità o in base a un piano prestabilito;
  • Patto di garanzia degli utili: è un impegno con cui si garantisce a uno o più soci la distribuzione di un utile minimo, oppure si esclude che questi debbano subire perdite; bisogna comunque tener presente il cosiddetto patto leonino ossia che un patto volto ad escludere totalmente un socio dalla partecipazione agli utili o alle perdite risulterebbe nullo.
  • Patti per indirizzare la gestione: sono accordi con cui i soci si impegnano a esercitare, anche congiuntamente, un'influenza dominante o a concordare preventivamente le linee strategiche della società (es. nomine degli amministratori, approvazione di piani industriali, etc.);
  • Patto di non concorrenza: trattasi di un obbligo imposto ad un socio o ex socio di non svolgere attività in concorrenza con quella della società, per un determinato periodo di tempo e in una specifica area geografica.
  • Patto di consultazione: è un accordo più blando rispetto al Sindacato di voto e prevede che i soci si impegnino a consultarsi preventivamente prima di ogni votazione in assemblea, pur mantenendo la libertà finale di voto;
  • Clausola di Drag Along: ovvero obbligo di co-vendita, consiste nel  diritto del socio di maggioranza o del socio venditore di obbligare i soci di minoranza a vendere le loro quote allo stesso prezzo e alle stesse condizioni a un potenziale acquirente terzo che voglia acquisire il controllo totale;
  • Clausola di Tag Along: ovvero diritto di co-vendita, consiste nel diritto del socio di minoranza di pretendere di vendere la propria partecipazione allo stesso prezzo e alle stesse condizioni del socio di maggioranza, qualora quest'ultimo ceda le proprie quote a un terzo;
  • Opzione Put: rappresenta il diritto per un socio, tipicamente un investitore di minoranza, di vendere la propria partecipazione agli altri soci a un prezzo e a condizioni prestabilite, solitamente al verificarsi di determinate condizioni o scadenze;
  • Clausola di Liquidation Preference: è un accordo che, in caso di liquidazione della società o vendita di controllo, garantisce ad alcuni soci (spesso gli investitori) un rimborso preferenziale del capitale investito, prima della ripartizione del ricavato tra gli altri soci.

Implementazione strategica nelle Start up    

La connessione tra WfE e patti parasociali è la chiave di volta per l'efficace gestione dell'equity in una start-up. I patti fungono da custodi dei meccanismi di incentivazione creati dal WfE.

L'elemento più critico gestito dai patti sono le clausole relative al WfE:

  • Vesting e Cliff: sebbene il WfE stabilisca l'assegnazione dell'equity, sono i patti parasociali a definire le modalità operative e gli effetti in caso di interruzione del rapporto, formalizzando i termini di Vesting (maturazione graduale) e Cliff (periodo minimo di blocco);
  • Good Leaver / Bad Leaver: queste clausole, regolate nei patti, stabiliscono la penalità o il premio per il socio che esce, differenziando tra chi lascia per giusta causa (ossia il Good Leaver che matura il diritto di vendere le quote vested a un prezzo equo) e chi per colpa o volontariamente (ossia il Bad Leaver, il quale ha l’obbligo di cessione delle quote, anche vested, a un prezzo nominale o punitivo). Ciò protegge il valore della società e assicura che l'equity sia una ricompensa per il contributo continuativo.

Riferimenti normativi    

  • Art.27 del D.L. n. 179/2012 
  • D.L. n. 3/2015.
  • Art. 2341-bis c.c.
  • Art.2341-ter c.c.
  • D.L. 179/2012 

Alfa S.r.l. è una start-up innovativa, fondata da Maria e Luca che detengono il 100% delle quote. L’azienda sviluppa software e ha bisogno urgente di un CTO (Chief Technology Officer) di alto livello per finalizzare il prodotto, ma ha solo € 20.000 in cassa mentre la figura richiesta costerebbe almeno € 80.000 all'anno. 

Per attrarre il CTO (chiamiamolo Marco) senza intaccare la poca liquidità, la startup offre un compenso misto:

  • compenso in contanti: € 20.000.
  • compenso in Equity: quote sociali equivalenti ad un valore di € 60.000, come conferimento della sua opera professionale e pari al 5% del capitale post-operazione.

Utilità del WfE:

  • per la Start up: acquisisce un servizio vitale da €80.000 spendendone solo €20.000 in contanti, garantendo la sopravvivenza operativa;
  • per Marco: beneficia della neutralità fiscale al momento dell'assegnazione e quindi non deve pagare IRPEF né contributi INPS sui € 60.000 di quote ricevute immediatamente. Tasserà solo l'eventuale plusvalenza (al 26%) quando e se venderà le quote in futuro.

Ora, se Marco riceve immediatamente le quote WfE, potrebbe teoricamente abbandonare la società dopo un mese mantenendo il 5% e causando un danno enorme ai fondatori. Per impedirlo e per regolare il futuro dell'assetto societario, si stipulano i Patti Parasociali tra Maria, Luca e Marco come di seguito:

  • Vesting (Maturazione): le quote del 5% di Marco sono soggette a una maturazione graduale nell'arco di 4 anni e questo impedisce la fuga immediata;  
  • Cliff (Periodo Minimo): le quote non maturano affatto se il CTO se ne va prima di un periodo minimo, ad esempio 12 mesi; pertanto, se Marco se ne va dopo 6 mesi, non riceve nulla delle quote WfE.
  • Good/Bad Leaver: si definisce cosa succede alle quote in caso di uscita anticipata ovvero prima dei 4 anni di Vesting. Se Marco è un Bad Leaver, ovvero viene licenziato per giusta causa o si dimette senza preavviso, i fondatori hanno il diritto di riacquistare le sue quote maturate a un prezzo punitivo.
  • Drag Along (Diritto di Trascinamento): se la maggioranza (Maria e Luca) trova un acquirente per il 100% della società, può obbligare Marco a vendere la sua quota insieme a loro alle medesime condizioni. Questo garantisce l’exit e rende la startup attraente per i grandi acquirenti, che di solito vogliono il 100% delle quote.

In conclusione: 

  • il Work for Equity ha risolto il problema di liquidità della startup, consentendo l'assunzione di un talento chiave quando la cassa era vuota;
  • i Patti Parasociali hanno risolto il problema della fiducia e del rischio di governance e hanno garantito che il CTO: fosse incentivato a restare e far crescere il valore (grazie al WfE e al Vesting), non potesse sabotare una futura vendita della startup (grazie al Drag Along), perdesse il vantaggio se fosse uscito in modo sleale (Bad Leaver).

Senza questi strumenti, la startup non avrebbe avuto il CTO o avrebbe dovuto affrontare costi insostenibili e un rischio societario elevato.

L’esperto 

Qual è la principale differenza tra una clausola di WfE nello Statuto e nei patti parasociali?

Lo Statuto si limita a prevedere la possibilità generica di remunerare con equity o di emettere SFP. I patti parasociali costituiscono un accordo privato tra soci e sono lo strumento che regola la concreta attuazione di questo diritto, definendo le clausole specifiche e dinamiche come Vesting, Cliff, Good/Bad Leaver, che non sarebbero appropriate o flessibili all'interno dello Statuto.

In che modo le clausole "Leaver" nei Patti Parasociali proteggono l'interesse della start-up?

Le clausole Good/Bad Leaver proteggono la start-up garantendo che le quote siano in mano a soci attivamente impegnati. In caso di uscita non giustificata (Bad Leaver), il patto consente alla società o ai fondatori di riacquistare le quote a un prezzo basso, prevenendo l'uscita di capitale azionario a favore di soci inattivi. Questo meccanismo libera equity da utilizzare per incentivare nuovi talenti.

La neutralità fiscale del WfE è applicabile se la start-up remunera una prestazione "ordinaria"?

No. L'agevolazione fiscale, consistente nella non imponibilità immediata e prevista dall'Art. 27 del D.L. 179/2012, si applica solo alle prestazioni di opere o servizi che contribuiscono allo sviluppo competitivo o precompetitivo della start-up innovativa. 

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