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Il Work for Equity è lo strumento che permette alle start-up di remunerare i servizi qualificati con quote societarie, preservando la liquidità. L'efficacia e la stabilità di queste assegnazioni sono garantite dai Patti Parasociali, che definiscono le regole di governance e le conseguenze in caso di uscita del socio. La corretta combinazione di questi due strumenti è vitale per la crescita e la stabilità del team.
Le start up innovative operano in un contesto di incertezza finanziaria e competizione serrata per l'acquisizione di risorse umane di eccellenza. Nelle fasi iniziali, la scarsità di liquidità rappresenta il principale ostacolo all'ingaggio di professionisti di alto profilo.
In questo scenario, il Work for Equity (WfE) emerge come soluzione finanziaria e strategica: offrendo partecipazioni societarie in cambio di prestazioni d'opera, la start up conserva la liquidità e, al contempo, allinea gli interessi del collaboratore con il successo a lungo termine dell'impresa; in tal modo, il professionista si trasforma da mero fornitore di servizi a socio, scommettendo sul valore futuro della società.
Tuttavia, l'ingresso di nuovi soci deve essere attentamente gestito per prevenire futuri conflitti o diluizioni indesiderate. È qui che entrano in gioco i Patti Parasociali, quali strumenti contrattuali che non alterano lo Statuto ma regolamentano in dettaglio i rapporti tra i soci, stabilendo norme chiare per la gestione delle quote WfE, in particolare in caso di cessazione del rapporto di collaborazione. L'interazione tra questi tre elementi, Start-up, WfE e Patti Parasociali, costituisce un ecosistema legale e gestionale imprescindibile per il fundraising e la stabilità del team.
Il Work for Equity è stato introdotto e disciplinato nell'ordinamento italiano con l'obiettivo specifico di sostenere le imprese innovative. L'istituto è stato regolamentato dall' art.27 del D.L. n. 179/2012, così come modificato ed ampliato dall’art.4 del D.L. n.3 del 24.01.2015 (noto come "Investment Compact"),e introduce delle agevolazioni materia di remunerazione ed incentivazione dei dipendenti e prestatori di servizi esterni alle società che si qualificano come Start up e PMI innovative. In dettaglio: i commi 1, 2 e 3 riguardano i cosiddetti Piani di incentivazione per le remunerazioni corrisposte al personale dei soggetti abilitati quali amministratori, dipendenti e collaboratori continuativi e che svolgono la loro attività sostanzialmente all'interno dell'organizzazione; il comma 4 riguarda il Wok for Equity in senso stretto ovvero i compensi spettanti ai soggetti che hanno un rapporto esterno con la società e che, in assenza di un vincolo di subordinazione, prestano a favore della stessa opere o servizi e vi rientrano, in tale categoria, professionisti esterni, consulenti e fornitori, diversi dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori continuativi, il cui compenso è riconducibile al reddito di lavoro autonomo.
Tuttavia, il cuore dell'incentivo risiede nel regime fiscale e contributivo di favore. I principali vantaggi fiscali del Work for Equity si basano sui concetti di neutralità fiscale e tassazione differita, che rendono il compenso in equity molto più efficiente, dal punto di vista del cash flow, rispetto a un compenso in denaro.
Applicata all'ambito del Work for Equity, la plusvalenza è la differenza tra quanto il prestatore d'opera incassa vendendo le sue quote o azioni e quanto quelle quote sono state valutate al momento dell'assegnazione. La base imponibile è data dalla differenza tra il corrispettivo incassato al momento della vendita ed il costo fiscale di acquisto, ossia il valore attribuito all'apporto professionale al momento dell'assegnazione. La plusvalenza è assoggettata all'imposta sostitutiva del 26% (aliquota forfettaria). Nella maggior parte dei casi, questa aliquota è inferiore alle aliquote progressive IRPEF che sarebbero state applicate se il compenso fosse stato erogato come reddito da lavoro.
In sostanza, il WfE offre al professionista un differimento del carico fiscale e, spesso, un'aliquota finale più vantaggiosa rispetto a quella applicata a un normale stipendio o parcella.
Assodata l’esenzione fiscale, nei termini sopradescritti, un aspetto che merita di esser approfondito concerne l’esenzione anche di natura contributiva. Le origini del dilemma trovano radice nella previsione del richiamato art. 27, comma 1 del D.L. n. 179/2012 laddove prevede che il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione di azioni, quote e strumenti finanziari partecipativi a dipendenti, amministratori e collaboratori “non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi”; per converso, una tale precisione ed accuratezza espressiva non la si rintraccia nel comma 4 in cui viene statuito che “Le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte dell'apporto di opere e servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero di crediti maturati a seguito della prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali, resi nei confronti degli stessi, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto”. Sulla stessa linea, si pone la relazione illustrativa al decreto, la quale chiarisce che “Il comma 4 reca il regime fiscale dell’apporto di opere e di servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati. In particolare, si precisa non concorrono a formare l’imponibile fiscale le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a titolo di corrispettivo per l’apporto di opere e servizi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero a fronte di crediti maturati per la prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali. Azioni, quote e strumenti finanziari relativi non concorrono pertanto alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l'apporto…..al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento”.
La normativa richiamata sembrerebbe lasciar intendere, di primo acchito, che l’apporto di opere e servizi di cui al comma 4 godrebbe unicamente di un’agevolazione meramente fiscale ma non contributiva. Da qui, le origini del dilemma dell’INPS ovvero se le prestazioni dei professionisti iscritti alla gestione separata siano o meno rilevanti ai fini della contribuzione. Sebbene non vi sia un diretto e univoco chiarimento di prassi da parte dell’Agenzia delle Entrate, la risposta la si può rintracciare nel principio di derivazione fiscale quale concetto cardine nel diritto tributario e previdenziale italiano e che stabilisce una connessione diretta tra la base imponibile utilizzata per il calcolo delle imposte sul reddito e quella utilizzata per il calcolo dei contributi previdenziali: in altri termini, il calcolo dei contributi previdenziali deriva da ciò che è fiscalmente rilevante.
A suffragare le argomentazioni soprariportate, si richiama la Circolare INPS 32 del 07/02/2001 in cui si afferma che “Resta comunque fermo il disposto dell’art.2, comma 29, della legge n.335/1995, in base al quale il contributo previdenziale deve essere applicato sul reddito delle attività determinato con gli stessi criteri stabiliti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, quale risulta dalla relativa dichiarazione annuale dei redditi e dagli accertamenti definitivi”. Questo principio crea un collegamento diretto e vincolante tra la base imponibile previdenziale e la base imponibile fiscale. La norma in materia di WfE prevede che le quote ed azioni assegnate al professionista a fronte di opere o servizi non concorrono alla formazione del reddito imponibile IRPEF al momento dell'assegnazione e questo implica che, al momento dell'emissione, il valore dell'equity ha un'imponibilità fiscale pari a zero. In base al principio della Circolare INPS, se un componente non concorre alla formazione del reddito IRPEF, esso non può concorrere a formare la base su cui calcolare i contributi previdenziali.
I patti parasociali sono accordi contrattuali esterni allo Statuto sociale, stipulati tra i soci, la cui funzione è quella di regolare i rapporti reciproci e la gestione della società; la normativa di riferimento è l’ art. 2341-bis c.c.: “I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo”. A seguire, l’ art. 2341-ter c.c. ne disciplina il regime di pubblicità: “Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o con azioni negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione i patti parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese. In caso di mancanza della dichiarazione prevista dal comma precedente i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e le deliberazioni assembleari adottate con il loro voto determinante sono impugnabili a norma dell'articolo 2377”. Infine, gli articoli 122 e 123 TUF e le Comunicazioni CONSOB in materia contengono una disciplina speciale dei patti parasociali che interessano le società quotate.
I patti parasociali sono contratti stipulati tra alcuni o tutti i soci di una società per regolare, al di fuori dell' Atto Costitutivo e dello Statuto, l'esercizio dei loro diritti sociali e le dinamiche interne alla compagine. Le principali caratteristiche possono essere così sintetizzate:
Nelle start-up, i patti parasociali sono essenziali per tre motivi principali:
I patti parasociali sono accordi vincolanti tra i soci di una società, stipulati al di fuori dello Statuto, cruciali per regolare l'esercizio del voto, la gestione delle partecipazioni o altre materie sociali, garantendo stabilità a un accordo di investimento. Per evitare che i soci restino vincolati in modo eccessivamente lungo, limitando la loro libertà di voto e di trasferimento delle partecipazioni, la legge stabilisce dei limiti di durata. Sia per le S.p.A. che, per estensione normativa (Art. 2468, comma 5, c.c.), per le S.r.l., la durata massima di un patto parasociale è fissata a cinque anni (Art. 2341-bis c.c.). I patti possono comunque essere rinnovati alla scadenza, tramite la stipula di un nuovo accordo espresso. In linea generale, la legge tutela comunque la libertà del singolo socio prevedendo il diritto di recesso: qualsiasi socio ha la facoltà di sciogliersi dal vincolo, a condizione che rispetti un preavviso di 180 giorni. Questo preavviso serve a concedere alle altre parti coinvolte il tempo necessario per riorganizzare i rapporti a seguito dell'uscita del socio, in linea con il principio generale di evitare vincoli perpetui sulla libertà negoziale.
Esistono varie tipologie di patti, per conseguire diverse finalità.
La connessione tra WfE e patti parasociali è la chiave di volta per l'efficace gestione dell'equity in una start-up. I patti fungono da custodi dei meccanismi di incentivazione creati dal WfE.
L'elemento più critico gestito dai patti sono le clausole relative al WfE:
Alfa S.r.l. è una start-up innovativa, fondata da Maria e Luca che detengono il 100% delle quote. L’azienda sviluppa software e ha bisogno urgente di un CTO (Chief Technology Officer) di alto livello per finalizzare il prodotto, ma ha solo € 20.000 in cassa mentre la figura richiesta costerebbe almeno € 80.000 all'anno.
Per attrarre il CTO (chiamiamolo Marco) senza intaccare la poca liquidità, la startup offre un compenso misto:
Utilità del WfE:
Ora, se Marco riceve immediatamente le quote WfE, potrebbe teoricamente abbandonare la società dopo un mese mantenendo il 5% e causando un danno enorme ai fondatori. Per impedirlo e per regolare il futuro dell'assetto societario, si stipulano i Patti Parasociali tra Maria, Luca e Marco come di seguito:
In conclusione:
Senza questi strumenti, la startup non avrebbe avuto il CTO o avrebbe dovuto affrontare costi insostenibili e un rischio societario elevato.
Qual è la principale differenza tra una clausola di WfE nello Statuto e nei patti parasociali?
Lo Statuto si limita a prevedere la possibilità generica di remunerare con equity o di emettere SFP. I patti parasociali costituiscono un accordo privato tra soci e sono lo strumento che regola la concreta attuazione di questo diritto, definendo le clausole specifiche e dinamiche come Vesting, Cliff, Good/Bad Leaver, che non sarebbero appropriate o flessibili all'interno dello Statuto.
In che modo le clausole "Leaver" nei Patti Parasociali proteggono l'interesse della start-up?
Le clausole Good/Bad Leaver proteggono la start-up garantendo che le quote siano in mano a soci attivamente impegnati. In caso di uscita non giustificata (Bad Leaver), il patto consente alla società o ai fondatori di riacquistare le quote a un prezzo basso, prevenendo l'uscita di capitale azionario a favore di soci inattivi. Questo meccanismo libera equity da utilizzare per incentivare nuovi talenti.
La neutralità fiscale del WfE è applicabile se la start-up remunera una prestazione "ordinaria"?
No. L'agevolazione fiscale, consistente nella non imponibilità immediata e prevista dall'Art. 27 del D.L. 179/2012, si applica solo alle prestazioni di opere o servizi che contribuiscono allo sviluppo competitivo o precompetitivo della start-up innovativa.
(prezzi IVA esclusa)