Premessa – Modifiche all’orizzonte sul Jobs act (D.L. 34/2014), in particolare sul contratto a termine. Infatti, come previsto dall’iter legislativo, la conversione in legge della riforma del mercato del lavoro è preceduta dalla votazione degli emendamenti presentati dai partiti politici, tra cui spunta una “sostanziale” possibilità di ridurre le proroghe nei contratti a tempo determinato da 8 a 5. Proroghe, queste, concesse sempre nel termine massimo di 36 mesi. A darne conferma è Cesare Damiano (Pd), presidente della commissione lavoro di Montecitorio: “Sulla diminuzione delle proroghe del contratto a termine vi è un’intesa sostanziale”.
Contratto a termine – Si rammenta che il Jobs act, entrato in vigore lo scorso 21 marzo, ha introdotto notevoli novità in merito al contratto a termine. Innanzitutto, va segnalata l’eliminazione della c.d. “causale” (che giustifica l’instaurazione del rapporto di lavoro), indipendentemente se si tratta di primo contratto, nel limite di durata massima di 36 mesi (3 anni). Sul fronte delle proroghe, invece, nel contratto di lavoro a termine essa è sempre ammessa, fino a un massimo di 8 volte nei 36 mesi. Unica condizione da rispettare è che le proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato. Ora tale proroga potrebbe scendere a 5, con termine di durata massima fermo a 36 mesi. Sempre sui modelli a termine, il centrosinistra chiede inoltre che ai lavoratori assunti con tali accordi, anche di tipo somministrato, “sia riconosciuto il diritto di precedenza in caso di assunzioni a tempo indeterminato”.
Apprendistato – Restyling in vista anche sulle norme dell’apprendistato. Infatti, sul programma formativo individuale (PFI) scritto l'orientamento governativo rimane quello di stilare un piano all'interno del contratto stesso di apprendistato, come sottolineato dal relatore ed ex sottosegretario Carlo Dell'Aringa (Pd). Inoltre, vi è l’idea di reintrodurre la stabilizzazione in servizio (previsto dalla Riforma Fornero), che imponeva all’impresa la regolarizzazione di una percentuale di apprendisti (50%) per potersene dotare di nuovi, ma con un calo della soglia fino al 20% e prevedendo che tale vincolo sia valido esclusivamente per le realtà con più di 30 unità (contro le 10 della Riforma Fornero). Infine, per quanto riguarda la formazione si chiede che siano le regioni a mettere l’impresa in condizione di adempiervi, entro 45 gg. In questo modo, si toglie all’azienda l’onere di dover offrire a tutti i costi una preparazione trasversale obbligatoria anche laddove le regioni non sono in grado di garantirla.
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