21 dicembre 2011

Curatela del fallimento: illegittimo il licenziamento

Il curatore fallimentare non può procedere al licenziamento, qualora sia disposta la continuazione dell’attività

Autore: Redazione FIscal Focus
Premessa – La Corte di Cassazione, con sentenza pubblicata in data 11 novembre 2011, ha stabilito che è illegittimo il licenziamento intimato dalla curatela del fallimento sul presupposto del fallimento del datore di lavoro, qualora sia disposta la continuazione dell’attività.

La vicenda – Un dipendente, in data 14 dicembre 2004, deposita ricorso presso il Tribunale di S. Maria C.V., con l’intento di far dichiarare inefficace il licenziamento intimatogli. Al riguardo, il Tribunale rileva che, anche nell’ipotesi di licenziamento collettivo intimato alla curatela di impresa fallita per totale cessazione dell’attività aziendale, deve essere rispettata la procedura prevista dall’art. 4 della L. 223/91; mentre non ha alcuna importanza la distinzione tra parziale o totale cessazione dell’attività. Pertanto, occorre dichiarare inefficace il licenziamento intimato al ricorrente dalla curatela del fallimento San Giuseppe Spa. Avverso tale pronuncia, proponeva appello, con ricorso depositato il 19/7/07, la parte soccombente di primo grado. Si costituiva anche la S.p.a. Life Hospital (affittuario dell’azienda) che ribadiva la propria posizione difensiva assunta in primo grado, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. La Corte d’appello di Napoli ribadisce quanto decretato dal primo grado di giudizio, affermando la estraneità della Spa Life Hospital alla vicenda. Infine, la parte soccombente di secondo grado si avvale del terzo grado di giudizio, pronunciando ricorso con cinque motivi.

La sentenza – Spostando il focus sulla sentenza, la Corte di Cassazione conferma l’orientamento già espresso in base al quale la legge n. 223 del 1991 (licenziamenti collettivi) ha portata generale ed è obbligatoria anche nel caso in cui, nell’ambito di una procedura concorsuale, risulti impossibile la continuazione dell’attività aziendale e, laddove sia possibile secondo i requisiti di legge, vi sia l’intenzione di procedere al licenziamento del personale. Rispetto alla situazione del fallimento, non si può negare che dopo il fallimento l’azienda continua nella sua unitarietà e così anche il rapporto di lavoro. La sopravvivenza dell’azienda non sarebbe condizionata al materiale esercizio dell’attività d’impresa e sussisterebbe anche nell’ipotesi in cui a seguito della cessazione sarebbe impossibile la materiale reintegrazione nel posto di lavoro. La perdurante vigenza del rapporto, in uno stato di quiescenza, rende ipotizzabile la futura ripresa dell’attività di lavoro per iniziativa del curatore o con successivo provvedimento del tribunale fallimentare o con la cessione dell’azienda o con la ripresa dell’attività lavorativa da parte del medesimo datore di lavoro a seguito di concordato. Pertanto, la Corte di Cassazione dà ragione alla lavoratrice ricorrente che era stata licenziata dalla curatela del fallimento della società San Giuseppe Spa senza l’osservanza della richiamata legge sui licenziamenti collettivi del 1991, rigettando di conseguenza il ricorso. Non basterebbe, a giudizio della Corte, la sussistenza del fallimento in quanto, come rilevato dai giudici, nella fattispecie concreta la procedura fallimentare ha disposto la prosecuzione dell’attività con la stipula di un contratto d’affitto d’azienda.
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