22 agosto 2012

D.L. Sviluppo. Come cambiano le verifiche sulle finte partite IVA?

La conversione in legge del D.L. Sviluppo ha allentato notevolmente la pressione sui criteri utili per verificare la presunzione di co.co.co.
Autore: redazione Fiscal Focus

Premessa – Si allenta la morsa del Governo per scovare le “finte” partite IVA. Infatti, i tre indici presuntivi per verificare la legittimità o meno delle partite IVA, non andrà più calcolata su un solo anno di collaborazione, bensì su due anni solari consecutivi. Tale novità, che modifica quindi il testo originario della riforma Fornero (L. n. 92/2012), arriva dal c.d. “decreto Sviluppo 2012” (L. n. 134/2012 in vigore dal 12 agosto, di conversione al D.L. n. 83/2012). Al riguardo, va specificato che la novità in argomento concerne esclusivamente due dei tre presupposti, ossia: durata della collaborazione e il compenso massimo percepito dai committenti, tralasciando quello sulla postazione “fissa” presso il committente (terzo presupposto).

Finte partite IVA – Come è noto, all’interno della riforma del lavoro, entrata in vigore lo scorso 18 luglio, il Governo ha voluto porre un limite all’utilizzo massiccio del fenomeno delle “finte” partite IVA. In altri termini, l’obiettivo è quello di regolarizzare tutti quei lavoratori che si sono visti invogliare dai propri datori di lavoro ad aprire una partita IVA appunto “falsa”, al sol fine di evitare d’ingabbiarsi in contratti di lavoro che risultano ovviamente più onerosi e scomodi.

I parametri – Dunque per identificare tali datori di lavoro il ministro del Welfare ha introdotto ben tre indici presuntivi, ossia: che la collaborazione “fittizia” duri più di 8 mesi nell’arco di un biennio; che da questo rapporto il collaboratore ricavi più dell’80% del corrispettivo verso un unico committente nell’arco di un biennio; che il collaboratore possiede una postazione “fissa” presso il committente (si dovrà dimostrare di avere una vera e propria scrivania). Qualora il collaboratore ricada in almeno due dei suddetti presupposti scatta la presunzione di co.co.co., alla cui base deve esserci un specifico progetto affinché possa essere considerato legittimo.

Le conseguenze – Ma cosa succede se il datore di lavoro omette il progetto? La risposta è semplice. In tal caso, scatta automaticamente la sanzione della conversione in rapporto dipendente a tempo indeterminato sin dalla costituzione del rapporto di lavoro. In caso contrario, ossia se il progetto è legittimo, si darà vita a una “co.co.pro. con partita Iva”.

Gli esclusi – Tuttavia, esistono delle scappatoie per i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze veri e propri dipendenti, ma inquadrati come lavoratori di tipo autonomo. Dunque, la disciplina non opera quando la prestazione lavorativa sia connotata da capacità teoriche e pratiche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, e rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività. Stesso discorso vale per chi abbia un fatturato annuo non inferiore a 1,25 volte (corrispondente al minimo imponibile previsto per i contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali), che per quest’anno è pari a € 18.663. E ancora, la presunzione non opera con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell'esercizio di attività professionali che prevedono un'iscrizione in apposito registro, albo, elenco o ruolo. In tal caso, però, è necessario che le mansioni svolte dall’iscritto siano quelle proprie e caratteristiche della professione esercitata, in quanto il requisito dell’iscrizione non è di per sé idoneo a determinare l’esclusione dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto. In ogni caso, un decreto del Ministero del Lavoro fornirà l’elenco delle attività.

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