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Le dimissioni per fatti concludenti sono quelle che si desumono da un comportamento inequivocabile del lavoratore, che manifesti in modo chiaro e volontario la volontà di recedere dal rapporto di lavoro.
E’ possibile formulare una serie di casistiche tipizzate:
| 1 | abbandono definitivo del posto di lavoro; |
|---|---|
| 2 | mancata ripresa dell’attività dopo ferie, malattia o sospensione, senza giustificazioni; |
| 3 | restituzione di strumenti aziendali, chiavi, badge; |
| 4 | comunicazione informale, resa in forma verbale, di non voler più lavorare. |
Il nuovo comma 7-bis dell’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 tratta ha introdotto una procedura telematica da seguire alle quali sono tenuti i lavoratori in caso di dimissioni dal posto di lavoro, da cui sono esclusi:
| 1 | i soggetti che si trovano a fruire della tutela della maternità e del congedo di paternità; |
|---|---|
| 2 | I genitori che presentano le dimissioni entro i tre anni dalla nascita del bambino (perché le debbono confermare avanti ad un funzionario dell’ITL); |
| 3 | i dipendenti che sottoscrivono un accordo di risoluzione consensuale ex art. 7 della legge n. 604/1966 oppure risoluzioni consensuali o ratificano le dimissioni avanti ad uno degli organismi abilitati ex art. 410 e 411 cpc (ad esempio, commissione di conciliazione presso l’ITL, commissioni di certificazione presso i vari Enti ed organismi abilitati, ecc.). |
Il datore di lavoro deve, innanzitutto, verificare quanti giorni devono passare, in base al CCNL applicato, affinché l’assenza del lavoratore che non ha fatto pervenire alcuna comunicazione, possa ritenersi ingiustificata.
I contratti collettivi fanno riferimento a giornate lavorative, atteso che, in mancanza di specificazioni, l’art. 155 cpc afferma che i giorni si calcolino secondo il calendario comune. Tuttavia l’assenza ingiustificata protratta per giorni è nei contratti collettivi lo strumento per attivare la procedura di licenziamento.
Per assenza ingiustificata si intende quella per la quale non è pervenuta alcuna comunicazione giustificativa e non quella in cui la giustificazione è giunta ma il datore di lavoro non la ritiene valida (in tal caso va, necessariamente, aperta una procedura disciplinare con tutte le garanzie previste dalle norme).
Come sottolineato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il termine che può eventualmente essere previsto dalla contrattazione collettiva per l’insorgenza delle dimissioni per fatti concludenti in presenza dell’assenza ingiustificata del lavoratore deve essere distinto e più ampio rispetto a quello che può condurre al licenziamento disciplinare. Ciò in quanto è completamente diverso il significato che si intende attribuire alle due distinte fattispecie di estinzione del rapporto. In assenza di un termine contrattuale collettivo specifico riferito alle dimissioni per fatti concludenti, è quindi necessario ricorrere al termine di 15 giorni e, in assenza di altra specificazione, in tal caso le giornate vanno calcolate secondo calendario come afferma l’art. 155 cpc.
La procedura per fatti concludenti si può applicare anche ai lavoratori assenti senza alcuna giustificazione da prima del 12 gennaio 2025, data di entrata in vigore della norma.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito un facsimile di modello di comunicazione nel quale sono riportati i dati identificativi relativi al datore, al lavoratore, l’ultimo recapito conosciuto, il telefono e la mail ed ogni altro elemento utile, se in possesso del datore, ed il CCNL applicato.
La verifica dell’Ispettorato non è obbligatoria ma facoltativa: la nota n. 579/2025 afferma che se intende effettuarla, inserendola nella gravosa programmazione degli interventi settimanali, la conclusione deve avvenire entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione datoriale.
L’accertamento può avere tre esiti:
| 1 | il lavoratore non è stato trovato; |
|---|---|
| 2 | il lavoratore, pur essendo stato trovato, ha, nella sostanza, confermato il proprio comportamento; |
| 3 | il lavoratore ha prodotto elementi che fanno ritenere che l’assenza ingiustificata sia dovuta a causa di forza maggiore (ad esempio, lavoratore all’estero che, per fatti avvenuti nel proprio Paese, non è stato in grado di comunicare) o ad una responsabilità datoriale (ad esempio, il datore gli ha detto di stare a casa e di “non farsi vedere più”, cosa possibile in alcune piccolissime realtà, tale da configurare un “licenziamento orale”). |
In questo ultimo caso l’ispettorato del Lavoro comunica alle parti la inefficacia delle “dimissioni per fatti concludenti” ma non ha il potere di ricostituire il rapporto di lavoro : il lavoratore avrà in mano un accertamento dell’ispettore da far valere come prova in un eventuale giudizio.
Il datore di lavoro deve comunicare ai servizi per l’impiego le dimissioni per fatti concludenti cosa che deve essere fatta (pena una sanzione amministrativa, diffidabile, compresa tra 100 e 500 euro) entro i 5 giorni successivi alla constatazione delle stesse (quindi, la data della comunicazione inviata all’Ispettorato territoriale del Lavoro).
Il datore non paga il ticket di ingresso alla NASpI e potrà trattenere, all’atto della erogazione delle competenze di fine rapporto, l’indennità di mancato preavviso se, appunto, non dovesse risultare lavorato.
Il lavoratore, essendo dimissionario e non licenziato non potrà fruire del trattamento di NASpI, essendo, quest’ultimo destinato a chi ha perso involontariamente il lavoro.
In tale ottica, va poi visto il comma 171 dell’art. 1 della legge n. 207/2024 con il quale il Legislatore non consente ad un lavoratore dimissionario per fatti concludenti di fruire della indennità di disoccupazione attraverso un “piccolo stratagemma”.
Il lavoratore che dovesse impugnare il provvedimento può sostenere:
In tal caso, il giudice può riqualificare la cessazione come licenziamento illegittimo, con conseguente obbligo di reintegrazione o risarcimento.
È possibile, alla luce degli interventi normativi e di prassi esaminati; individuare alcune buone prassi che il datore di lavoro può adottare per prevenire situazioni di contenzioso:
| Accertamento immediato | in caso di assenza improvvisa, inviare subito una richiesta formale di chiarimenti (PEC o raccomandata) al lavoratore, con termine per rispondere. Se il lavoratore non risponde, reiterare la richiesta prima di assumere che si tratti di dimissioni. |
|---|---|
| Raccolta di prove | conservare documenti, messaggi, testimonianze, chat, video, email che confermino l’intenzione del lavoratore di non rientrare. |
| Lettera di presa d’atto ben formulata |
il datore di lavoro può redigere una comunicazione del tipo: facciamo seguito alla Sua prolungata assenza dal lavoro a decorrere dal giorno [data di inizio dell’assenza], non preceduta né seguita da alcuna comunicazione o giustificazione, nonostante i nostri solleciti del [date dei solleciti] rimasti privi di riscontro. In considerazione della mancata ripresa del servizio e dell’assenza di qualsiasi contatto o richiesta di giustificazione, il Suo comportamento appare incompatibile con la volontà di proseguire il rapporto di lavoro. Pertanto, la Società prende atto della Sua inequivocabile manifestazione di volontà di recedere dal rapporto di lavoro, che si intende cessato per dimissioni volontarie per fatti concludenti, con effetto dal [data di cessazione effettiva o presumibile]. Le ricordiamo che, ai sensi dell’art. 2118 c.c., il preavviso previsto dal contratto collettivo sarà considerato non prestato e sarà trattenuta o richiesta l’indennità sostitutiva, ove dovuta. Resta inteso che la presente comunicazione non costituisce licenziamento, ma presa d’atto di una condotta inequivocabilmente riconducibile alla Sua libera scelta di interrompere il rapporto. Qualora Lei ritenga di avere giustificazioni o di voler chiarire la situazione, La invitiamo a contattare tempestivamente l’Ufficio del Personale entro [3-5 giorni lavorativi] dal ricevimento della presente”. |
| Comunicazione al Centro per l’Impiego | effettuare la CO di cessazione indicando la causale “dimissioni volontarie” (con nota esplicativa “per fatti concludenti”). |
| Confronto con il lavoratore |
(se possibile): un contatto diretto, anche telefonico, per chiarire la volontà effettiva può spesso evitare cause e malintesi. Il datore di lavoro, per tutelarsi, deve quindi:
L’onere della prova ricade sul datore di lavoro, che deve dimostrare:
|
Quando si possono considerare valide le dimissioni per fatti concludenti?
Le dimissioni per fatti concludenti sono valide solo se il comportamento del lavoratore è inequivocabile e incompatibile con la volontà di proseguire il rapporto. L’assenza ingiustificata prolungata, la mancata risposta ai solleciti del datore o la restituzione degli strumenti aziendali possono costituire presunzioni gravi, ma serve sempre una verifica concreta. In assenza di un termine contrattuale specifico, si applica quello di 15 giorni di assenza continuativa, calcolati secondo il calendario comune. Il datore dovrà provare che non si tratta di licenziamento di fatto, ma di recesso volontario.
Quali adempimenti deve rispettare il datore di lavoro?
Il datore di lavoro deve innanzitutto inviare una richiesta formale di chiarimenti al lavoratore assente, tramite PEC o raccomandata. Se non riceve risposta, può interpretare la condotta come dimissioni per fatti concludenti e inviare la lettera di presa d’atto. Entro cinque giorni deve effettuare la comunicazione obbligatoria (CO) al Centro per l’Impiego, pena una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro. La segnalazione all’Ispettorato del Lavoro è facoltativa, ma consigliata: consente di ottenere un riscontro ufficiale in caso di contestazione.
Come può il datore di lavoro prevenire un contenzioso?
La prevenzione passa da una gestione prudente e documentata: raccogliere prove scritte, testimoni o messaggi del lavoratore che confermino la volontà di non rientrare; formulare comunicazioni chiare e tracciabili; evitare decisioni affrettate. È utile inserire nella lettera di presa d’atto la disponibilità a chiarimenti, così da dimostrare la buona fede datoriale. Inoltre, il datore non deve confondere l’assenza ingiustificata con la dimissione: solo la condotta inequivoca e duratura giustifica la cessazione senza rischi di riqualificazione in licenziamento illegittimo.
Lavoratore all’estero che non rientra al lavoro
Un lavoratore a tempo indeterminato non rientra in servizio dopo le ferie estive e non risponde ai messaggi né alle telefonate dell’azienda.
Dopo cinque giorni, il datore gli invia una PEC di sollecito chiedendo spiegazioni entro 48 ore. Trascorsi 15 giorni senza riscontro, l’azienda gli invia una lettera di presa d’atto delle dimissioni per fatti concludenti e procede alla comunicazione al Centro per l’Impiego. L’Ispettorato accerta che il lavoratore è all’estero e ha effettivamente intrapreso altra occupazione. Il rapporto è quindi legittimamente cessato per volontà del dipendente, senza diritto alla NASpI e senza rischio di contenzioso per licenziamento.
(prezzi IVA esclusa)