21 agosto 2014

Lavoratori a termine. Indennità onnicomprensiva sempre dovuta

L’indennità onnicomprensiva liquidata al lavoratore a termine assunto in maniera irregolare non è in contrasto con il “principio di non regresso”

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Il datore di lavoro, che assume in maniera irregolare il lavoratore a termine, deve ugualmente corrispondere l'indennità onnicomprensiva di risarcimento. Tale orientamento, infatti, non è in contrasto con il “principio di non regresso” sancito dalla clausola 8.3 della direttiva n. 1999/70/Ce relativa all'accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato. Quindi, non viene a determinarsi alcun arretramento del livello generale di tutela per i lavoratori. A stabilirlo è la Corte costituzionale con la sentenza n. 226/2014.

Assunzioni a termine
– La vicenda, in particolare, riguarda la legittimità costituzionale delle tutele previste in favore dei lavoratori a termine assunti in maniera irregolare. A tal proposito, il giudice del lavoro del Tribunale di Velletri sosteneva che in questi casi si determina un arretramento del livello generale di tutela previsto per i lavoratori a fronte di successive stipulazioni di un contratto a termine in contrasto con il “principio di non regresso” sancito dalla clausola 8.3 dell'accordo quadro Ue sul lavoro a tempo determinato.

Riforma Fornero – Al riguardo, si rammenta che la Riforma Fornero (L. n. 92/2012) all’art. 1, comma 13 fissa l'ammontare del risarcimento danni dovuto a seguito della illegittima apposizione del termine a un contratto di lavoro fissandolo nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto e disponendo che tale danno ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, incluse le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del giudice che ordina la ricostituzione del rapporto di lavoro. In precedenza, invece, il risarcimento del danno arrivava a comprendere tutte le retribuzioni e le contribuzioni spettanti per il periodo dalla scadenza del contratto di lavoro alla riassunzione giudiziaria.

Corte Costituzionale – Secondo la Corte Costituzionale, la norma del collegato lavoro non è collegata all'attuazione dell'accordo quadro, ma persegue scopi distinti; ne consegue, quindi, che la questione sollevata dal suddetto tribunale non è fondata. Infatti, la norma criticata non viola il divieto di reformatio in peius sancito dalla normativa comunitaria, perché sulla base della giurisprudenza europea, la clausola 8.3 dell'accordo quadro “non preclude in via generale modifiche che possano essere ritenute peggiorative del trattamento dei lavoratori a tempo determinato allorché attraverso di esse il legislatore nazionale persegua obiettivi diversi dalla attuazione dell'accordo quadro”. Tale conclusione, tra l’altro, viene confermata da una vecchia sentenza del 2011 (n. 303), la quale aveva già individuato la ratio dell'articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010, ossia la volontà di “introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa e omogenea applicazione” a fronte delle “obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente, con l'esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva”. La stessa sentenza, spiega la Corte, ha chiarito che il citato articolo 32, comma 5 “non si limita a forfettizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine”, ma va a integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato che costituisce la “protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario”.
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