8 gennaio 2013

Lavoro nero. Quando non viene irrogata la sanzione?

Non sono sufficienti le dichiarazioni rilasciate in sede di primo accesso ispettivo per irrogare la sanzione

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa - Le prime dichiarazioni rilasciate dal lavoratore in nero durante l’ispezione non sono sufficienti per irrogare la sanzione amministrativa nei confronti del datore di lavoro, specie se le stesse sono state ritrattate dal testimone in un secondo momento. A stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19475/2012, esprimendosi su un’altra importante decisione in materia di lavoro nero.

La vicenda - L’Agenzia delle Entrate, dopo aver irrogato il verbale d’ispezione, aveva irrogato una maxisanzione per il lavoro nero, ex art. 3 c. 3 D.L. n. 12/2002, convertito in L. n. 73/2002, a un’azienda per aver avuto alle dipendenze un lavoratore non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria. La decisione viene impugnata dinnanzi alla Commissione Tributaria, accogliendo il ricorso. Tuttavia, nel secondo grado di giudizio, è stata data ragione nuovamente all’Agenzia delle Entrate, in quanto la C.T. aveva rilevato che difettava la prova della falsità della scritturazione aziendale poiché sussistevano, in tal senso, le sole dichiarazioni del lavoratore, emotivamente scosso dall’intervento dei verbalizzanti.

La sentenza – In via preliminare, la Suprema Corte evidenzia che, "allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano pronunciato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto questo profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare di ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi ormai di questione ormai coperta da giudicato implicito". Inoltre, l'Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che non erano state chiarite le ragioni per le quali non si erano privilegiate le dichiarazioni rese dal testimone ai verbalizzanti ma quelle successive certamente "aggiustate" a distanza di tempo. Ma la Suprema Corte ha ritenuto tale motivo infondato in quanto la sentenza impugnata spiega in modo logico e persuasivo perché le sole dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti dal testimone, ancora scosso emotivamente per la visita ispettiva, siano state ritenute insufficienti a provare la pretesa avanzata nei confronti dell'intimato. La sentenza, dunque, nel rigettare il ricorso, non privilegia le seconde dichiarazioni, ma ritiene che le prime siano insufficienti a provare la fondatezza della sanzione irrogata. Pertanto, è possibile concludere che le dichiarazioni fornite dai lavoratori in occasione di una visita ispettiva improvvisa – successivamente ritrattate nell’ambito del giudizio – non sono sufficienti dal punto di vista probatorio, in quanto i lavoratori (che, in questo caso, non erano neppure regolarmente dichiarati) potevano essere stati influenzati dall’improvviso intervento degli ispettori.
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