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Il lavoro tra familiari, non è più presunto automaticamente gratuito, ma deve essere provato nella sua natura subordinata attraverso elementi tangibili. La giurisprudenza più recente, lungi dal semplificare, richiede una prova sostanziale della subordinazione e della onerosità effettiva del rapporto. Occorre dunque adottare un approccio sistematico e prudente: valutare la reale struttura dell’impresa, verificare la presenza di elementi di eterodirezione, accertare la tracciabilità della retribuzione, evitare che la convivenza o la solidarietà familiare offuschino la distinzione tra aiuto e subordinazione.
Il lavoro subordinato tra familiari rappresenta uno degli argomenti più complessi e discussi nell’ambito del diritto del lavoro e della previdenza.
Pur trattandosi di un fenomeno storicamente diffuso nel tessuto economico italiano (es. microimprese, esercizi artigianali, commercio al dettaglio), esso continua a porre questioni delicate in sede ispettiva, contributiva e giudiziaria. La difficoltà interpretativa deriva dal necessario equilibrio tra due dimensioni opposte ma coesistenti: da un lato, la solidarietà familiare, che tradizionalmente esclude l’onerosità delle prestazioni rese affectionis vel benevolentiae causa; dall’altro, la tutela del lavoro e dei diritti previdenziali dei soggetti coinvolti, che non può essere negata quando il contributo del familiare assume i caratteri del vero lavoro subordinato. Nel tempo, la giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno progressivamente ridimensionato la portata assoluta della cosiddetta presunzione di gratuità.
Oggi, il lavoro subordinato tra familiari è pacificamente considerato lecito, ma la sua genuinità deve essere provata in modo puntuale e rigoroso.
La tradizionale presunzione di gratuità dell’attività lavorativa svolta tra parenti affonda le proprie radici nel diritto civile e nel diritto di famiglia.
Il brocardo latino affectionis vel benevolentiae causa sintetizza il principio secondo cui i familiari si prestano aiuto per ragioni di affetto e di solidarietà, non per spirito di lucro. Questa impostazione ha trovato per lungo tempo terreno fertile soprattutto in ambito agricolo e artigianale, dove la collaborazione familiare rappresentava il perno dell’economia domestica.
Tale presunzione, tuttavia, si poneva — e ancora oggi si pone — in tensione con l’art. 2094 del Codice civile, che definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. La riforma del diritto di famiglia del 1975 (L. 151/1975), con l’introduzione dell’art. 230-bis c.c. sull’“impresa familiare”, ha segnato un primo tentativo di inquadrare giuridicamente la collaborazione familiare, distinguendo il contributo solidaristico dal lavoro subordinato. In seguito, circolari e note ministeriali (n. 10478/2013, n. 14184/2013, nota INL n. 50/2018) hanno ulteriormente chiarito che la gratuità si presume, ma può essere superata con prova contraria.
Sul piano previdenziale, la Circolare INPS n. 179/1989 rimane il punto di riferimento: l’Istituto riconosce la possibilità di disconoscere rapporti di lavoro tra familiari privi di effettiva subordinazione e di annullare i contributi versati in via ex tunc. È dunque evidente che il peso probatorio grava interamente sul datore di lavoro e, in fase contenziosa, sulla parte che invoca l’esistenza del rapporto.
Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha progressivamente costruito un sistema probatorio più articolato, incentrato su elementi oggettivi e riscontrabili, capaci di distinguere la collaborazione affettiva dal lavoro subordinato genuino. Già con la sentenza della Cassazione n. 4535 del 27 febbraio 2018, gli ermellini hanno affermato che, sebbene la presunzione di gratuità resti operante, essa può essere vinta dimostrando la presenza di indici oggettivi di subordinazione, come:
Tali elementi, valutati nel loro insieme e non isolatamente, consentono di riconoscere l’esistenza di un vincolo di dipendenza economica e organizzativa che prevale sul legame familiare.
L’elaborazione giurisprudenziale successiva ha confermato e affinato tali principi, offrendo un quadro sempre più chiaro. In questa ordinanza, la Corte ha riaffermato la legittimità del lavoro subordinato anche tra coniugi o affini, precisando che la familiarità non è di per sé ostativa, purché le modalità della prestazione evidenzino un reale inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e una continuità di impiego.
Il giudice, in tal senso, deve compiere una valutazione complessiva degli indici, non potendo basarsi su singoli elementi. La pronuncia più recente segna un passo ulteriore, chiarendo due aspetti chiave:
Si tratta di un punto decisivo, poiché molte contestazioni ispettive e giudiziarie sono nate proprio da rapporti “formalmente” regolari ma privi di riscontro economico effettivo.
Uno dei temi più insidiosi è proprio quello della convivenza familiare. La giurisprudenza, pur riconoscendone la rilevanza, ha chiarito che essa non può essere considerata elemento dirimente: la presenza o assenza di convivenza non crea automaticamente presunzioni di onerosità o gratuità, ma costituisce solo un indizio da valutare unitamente ad altri. Ancora più rilevante è la questione della retribuzione effettiva. Come sottolineato nella già citata Cass. 23919/2025, la sola esistenza di buste paga o CUD non è sufficiente a dimostrare la subordinazione: ciò che rileva è l’effettivo pagamento, tracciabile e costante nel tempo.
Pertanto, in sede di consulenza, è fondamentale raccomandare ai datori di lavoro l’uso di strumenti di pagamento tracciabili, come bonifici o accrediti bancari, in modo da poter fornire prova concreta della natura onerosa del rapporto.
Il confine tra collaborazione familiare, impresa familiare e lavoro subordinato è sottile e spesso sfumato. Per chiarirlo, occorre considerare la finalità economica e la struttura organizzativa. La collaborazione familiare è priva di corrispettivo e si fonda su motivi affettivi o morali; l’impresa familiare, invece, riconosce una partecipazione agli utili e agli incrementi patrimoniali, ma non comporta vincoli di subordinazione; il lavoro subordinato, infine, implica un contratto sinallagmatico, con obbligo retributivo e poteri datoriali.
In sintesi:
Un esempio pratico può aiutare a distinguere i casi.
Si pensi alla moglie che, saltuariamente, aiuta il marito artigiano a servire i clienti nel negozio: si tratta di collaborazione affectionis causa, non di subordinazione.
Diverso è il caso della figlia che, con orario fisso, svolge mansioni di segreteria amministrativa, percependo un compenso mensile: qui si configurano tutti i requisiti della subordinazione.
Le verifiche ispettive e la posizione dell’INPS
In sede ispettiva, gli organi di vigilanza, in particolare l’INPS e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, esaminano la genuinità del rapporto sulla base di indici concreti.
Laddove venga accertato che il rapporto è fittizio, possono procedere al disconoscimento del rapporto di lavoro e all’annullamento dei contributi versati. In giurisprudenza, la Cass. ord. n. 809/2021 ha riconosciuto la piena legittimità dell’INPS nel riesaminare rapporti preesistenti e annullarli ex tunc quando riscontrati in contrasto con la normativa vigente.
Ne deriva che il solo versamento contributivo non crea automaticamente una posizione assicurativa valida se manca il presupposto del rapporto di lavoro reale.
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Verifica preliminare> |
✅ Sì / ❌ No |
Note operative |
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Esiste un effettivo potere direttivo esercitato sul familiare? |
Specificare modalità di controllo. |
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È prevista una retribuzione tracciabile e periodica? |
No contanti o “compensi simbolici”. |
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È stabilito un orario di lavoro predeterminato? |
Serve evidenza documentale. |
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Il lavoratore è inserito stabilmente nell’organizzazione? |
Ad esempio, in organigramma o turni. |
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Il familiare dispone di autonomia gestionale? |
Se sì → rischio impresa familiare. |
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Sussiste convivenza tra le parti? |
Rileva solo in via rafforzativa. |
Alla luce delle più recenti pronunce, la consulenza preventiva assume un ruolo centrale.
Il Consulente del Lavoro deve aiutare l’impresa a documentare l’effettiva esistenza della subordinazione, predisponendo:
In mancanza di tali evidenze, il rischio di disconoscimento da parte dell’INPS o di rigetto in sede giudiziaria è elevato.
La pronuncia del 26 agosto 2025 merita particolare attenzione anche per il caso concreto affrontato.
Un lavoratore agricolo, assunto formalmente dal padre, aveva contestato il mancato riconoscimento dei contributi previdenziali da parte dell’INPS, che riteneva il rapporto fittizio.
La Corte ha confermato il disconoscimento, rilevando che:
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Aspetto |
Collaborazione familiare |
Impresa familiare (art. 230-bis c.c.) |
Lavoro subordinato tra familiari |
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Natura del rapporto |
Gratuita, occasionale |
Partecipativa, residuale |
Contrattuale, onerosa |
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Retribuzione |
Nessuna |
Quota utili |
Retribuzione periodica |
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Contributi previdenziali |
No |
Sì (Gestione artigiani/commercianti) |
Sì (INPS + INAIL) |
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Prova richiesta |
Nessuna |
Vincolo familiare |
Prova rigorosa subordinazione |
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Esempio tipico |
Aiuto saltuariamente in negozio |
Moglie coadiuvante artigiana |
Figlio assunto a tempo pieno con orario e paga |
È sempre vietato assumere un familiare come dipendente?
No. Il lavoro subordinato tra familiari è perfettamente lecito, purché sussistano gli elementi tipici della subordinazione: eterodirezione, continuità della prestazione e retribuzione effettiva.
La Cassazione (sent. n. 4535/2018 e ord. n. 23919/2025) ha ribadito che la presunzione di gratuità non è assoluta e può essere superata con prova concreta dell’esistenza di un vincolo di dipendenza organizzativa e del pagamento reale del salario.
Quali rischi si corrono se il rapporto viene considerato “fittizio”?
In caso di accertamento ispettivo, l’INPS può disconoscere ex tunc il rapporto e annullare i contributi versati, con perdita della copertura previdenziale e possibilità di sanzioni.
Il rischio è particolarmente alto quando non vi è tracciabilità dei pagamenti o quando il familiare convive con il datore di lavoro, poiché la convivenza rafforza la presunzione di gratuità.
La Cass. n. 809/2021 ha confermato la legittimità dell’INPS nel rivedere i rapporti familiari e revocare i contributi in assenza di effettiva subordinazione.
Come può un consulente del lavoro dimostrare la genuinità del rapporto?
La prova deve essere documentale e sostanziale. È utile predisporre:
Solo la coerenza tra forma e sostanza, cioè tra documenti e comportamento concreto, consente di resistere a eventuali contestazioni ispettive o giudiziarie.
Il sig. G. gestisce una piccola azienda agricola. Assume formalmente il figlio convivente come operaio a tempo pieno, con regolare contratto e busta paga mensile. In sede di verifica, l’INPS accerta che i pagamenti sono avvenuti in contanti e senza tracciabilità, e che il figlio non risulta presente quotidianamente sul luogo di lavoro.L’Istituto disconosce il rapporto di lavoro, ritenendolo fittizio. Il sig. G. impugna il provvedimento, sostenendo che le buste paga e il CUD costituiscono prova sufficiente dell’onerosità.
La Corte, richiamando la Cass. 23919/2025, respinge il ricorso:
Il figlio viene considerato collaboratore affectionis causa e i contributi vengono annullati.
(prezzi IVA esclusa)