A seguito della recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM n. 29/2015, che concede a decorrere dal 3 aprile p.v. la possibilità ai lavoratori del settore privato di poter richiedere la Qu.I.R. mensilmente in busta paga, è opportuno che ciascun lavoratore valuti la convenienza o meno che una simile scelta comporta. La valutazione, infatti, va effettuata ad hoc in quanto varia per ogni lavoratore a fronte di diverse variabili. La regola generale è che all’aumentare del reddito, automaticamente diventa anche più onerosa la Qu.I.R. rispetto al TFR considerato come “buonauscita” o a quello investito nella previdenza integrativa. Quindi, l’aumento di livello della retribuzione fa crescere lo svantaggio fiscale per chi opta per la liquidazione in busta paga.
Altro importante fattore da considerare è il vincolo di scelta; infatti, una volta effettuata, non può più essere revocata e resterà operativa fino al 30 giugno 2018.
Regime fiscale – L’aspetto che sicuramente ha fatto maggiormente discutere sul Tfr in busta paga, è la tassazione che si applica all’importo che verrà corrisposto mensilmente sul cedolino. Infatti, al posto della tassazione separata, tali somme saranno soggette all’aliquota marginale IRPEF ordinaria.
Ed è proprio qui il paradosso. Il lavoratore, per ottenere denaro che gli spetta di diritto, deve pagarci maggiori tasse. Con l’intento dichiarato dal Governo di voler accrescere il potere di acquisto delle famiglie italiane, sembra proprio che l’unico obiettivo sia invece quello di voler aumentare le entrate erariali.
Convenienza - Ma vediamo, grosso modo, quali sono i pro e i contro che comporta una scelta del genere. Ebbene, benché la convenienza sia soggettiva, da un lato, abbiamo una maggiore liquidità mensile (incremento retributivo pari al 7,40% circa) accompagnata da una retribuzione non imponibile ai fini previdenziali, dall’altro, però, si rileva una maggiore tassazione, la riduzione delle detrazioni spettanti per lavoro dipendente e familiari a carico, una maggiore aliquota marginale di tassazione IRPEF e addizionali, e per finire un aumento di reddito ai fini ISEE e per il calcolo dell’ANF.
Vediamo con due differenti esempi di quanto il lavoratore andrebbe a perdere se optasse per la Qu.I.R.
Ebbene, se consideriamo un reddito lordo di 23.000 euro, con il regime ordinario si applicherà un’aliquota del 27% (anziché il 23,9% in caso di tassazione separata). In termini economici ciò significa che su un TFR lordo di 1.589 euro, l’IRPEF da trattenere è di 429 (anziché 380 euro in caso di tassazione separata).
Se prendiamo, invece, un reddito lordo annuo di 35.000 euro, su un TFR lordo di 2.418 si applicherà il 38% (tassazione ordinaria), anziché il 25,3% (tassazione separata). Nel primo caso quindi l’IRPEF da trattenere è di 919 euro, mentre nel secondo è di 612 euro.
Alla luce dei suddetti esempi, è chiaro come all’aumentare dei livelli reddituali automaticamente maggiori saranno le entrate dello Stato. Ma anche per i redditi medio-bassi, seppur il prelievo è più contenuto, la situazione non cambia registrando in ogni caso un saldo negativo.
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