Premessa – Come appreso nei giorni scorsi, accanto alla possibilità di destinare il Tfr in un fondo di previdenza complementare oppure di lasciarlo semplicemente in azienda per poi fruirne in caso di interruzione del rapporto di lavoro, il Ddl Stabilità 2015 varato il 15 ottobre 2014 apre una terza via ai lavoratori privati: anticipare, su base volontaria, il proprio trattamento di fine rapporto mensilmente in busta paga. Una misura, questa, che ha fatto parlare non poco sia a livello politico che economico. Nonostante il testo sia ancora in via di definizione (si è in possesso solo della bozza) per dare un giudizio definitivo, alcuni economisti hanno mosso più di una critica verso questa particolare via di monetizzazione del Tfr. Dai primi calcoli è stato evidenziato che a guadagnarci sono tutt’altro che i lavoratori (se non per alcuni redditi bassi), bensì lo Stato e in parte le imprese. È chiaro che la nuova facoltà concede alle famiglie in difficoltà ad avere una maggiore liquidità immediata, ma è ancora da verificare il fatto che ciò possa spingere alla ripresa dei consumi. È lecito porsi il dubbio alla luce del fatto che anche il “bonus 80 euro” introdotto lo scorso maggio aveva tra i suoi obiettivo quello di innalzare i consumi nel nostro Paese ma a conti fatti ha avuto un effetto quasi invisibile sui consumi (più 0,1% rispetto a maggio, più 0,4% rispetto a giugno dello scorso anno).
Elementi da considerare – Alla luce di quanto su affermato, è di fondamentale importanza che i lavoratori facciano una scelta consapevole e ad hoc, considerando anche il fatto che la scelta – se effettuata – è irrevocabile fino al 30 giugno 2018. Dunque, il lavoratore che intende valutare la convenienza della nuova misura deve tenere in considerazione almeno due elementi di calcolo: la rinuncia alla rivalutazione annuale e il regime di tassazione. Infatti, se il lavoratore scegliesse di monetizzare il Tfr in busta paga, egli rinuncia automaticamente alla rivalutazione delle quote di Tfr, al tasso annuo dell'1,5% più il 75% dell'inflazione. Al riguardo, bisogna considerare anche che la rivalutazione paga l'IRPEF all'11% (dal prossimo anno 17%), dunque è anche un risparmio fiscale. Inoltre, sulle quote anticipate il lavoratore deve pagare una tassazione ordinaria.
Indagine Consulenti del lavoro – A guidare i lavoratori a fare la scelta migliore possibile ci pensano i Consulenti del lavoro, che in un’analisi economica hanno affermato che fino a 15mila all'anno di reddito il Tfr in busta paga è conveniente. Per cifre superiori, siccome il governo ha deciso, di tassare il maggiore importo come parte integrante dello stipendio e quindi applicando l'Irpef ordinaria, si pagano più tasse. In particolare ipotizzando una retribuzione annua di 20.000 euro, la differenza di incasso tra il Tfr in busta paga e la c.d. “buonuscita” è di 147 euro in favore di quest’ultima. Tale somma, in particolare, è data dagli elementi di cui sopra, cioè: 23 euro per la mancata rivalutazione ed i 124 euro restanti per la maggiore tassazione. È chiaro, quindi, che più alto è il reddito e più si accentua il gap di incasso fra la monetizzazione immediata e quella a fine rapporto. Per i redditi alti, pertanto, la scelta è tra prendere una parte subito o prendere un po' di più quando sarà il momento di incassare il Tfr.
La scappatoia – Se il lavoratore intende fruire immediatamente del Tfr senza subire il prelievo fiscale ordinario, esiste un’espediente: è quella del comune accordo con l'azienda ovvero per acquisto o ristrutturazione dell'abitazione o per gravi motivi di salute per coprire spese mediche. In questo modo si può utilizzare fino al 75% del Tfr già versato, applicando la tassazione separata e non quella ordinaria.
© Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata