3 giugno 2023

Intelligenza artificiale, non è solo un problema di privacy

Autore: Paolo Iaccarino
L’intelligenza artificiale non è il male assoluto, a condizione che sia utilizzata con equilibrio, per favorire il rapporto fra contribuenti ed Amministrazione finanziaria. Deve essere fermamente condannata, invece, se finalizzata a trasformare l’accertamento tributario in una procedura automatizzata, senza alcun apporto umano. Il problema non è il mezzo, ma il fine.

“Al lupo! Al lupo! La nostra privacy è a rischio, l’Agenzia delle entrate si mangerà tutti i nostri preziosissimi dati in un sol boccone!!”. Un grido di allarme, ampiamente condiviso, dentro e fuori la “categoria”, che fa obiettivamente sorridere in una società ormai asservita all’uso e all’abuso dei dati personali. Al contrario le deroghe concesse all’Amministrazione finanziaria nella gestione dei dati, se esercitate correttamente e nei limiti imposti, trovano ampia giustificazione.

L’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale in campo tributario, infatti, consente di raggiungere, quasi istantaneamente, due obiettivi a vantaggio dell’intera collettività. Il primo, strettamente connesso al rapporto fra contribuenti e Agenzia delle Entrate, consentirà all’Amministrazione Finanziaria di migliorare le proprie procedure di compliance, offrendo ai contribuenti ulteriori occasioni, sempre più tempestive e a costi minori, per la regolarizzazione della propria posizione fiscale. Soprattutto se l’inadempimento o irregolarità è la causa diretta di una mera dimenticanza, l’integrazione delle banche dati e la conseguente intelligibilità delle informazioni raccolte non potrà che migliorare la situazione. E poi noi professionisti abbiamo lavorato tanto per crearle (le banche dati), tanto vale farne buon uso.

Il secondo obiettivo, di più ampio respiro per la sostenibilità del sistema paese, è connesso alla lotta all’evasione fiscale. Utilizzare tali tecnologie per migliorare le attività di selezione delle posizioni a rischio, fra l’altro con procedure di trattamento anonimo dei dati, consentirà inevitabilmente di concentrare le risorse laddove il rischio di evasione è più alto e, aspetto tutt’altro che irrilevante, evitare controlli a buoi che non portano alcun risultato, anzi generano dei costi per il contribuente sottoposto a controllo e per l’intera società.

Qual è, allora, il principale rischio dell’intelligenza artificiale applicata all’ordine tributario? Sistemi di analisi, sempre più veloci ed efficaci, potrebbero trasformare l’accertamento tributario in una procedura completamente computerizzata, senza più l’impegno dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria. Pertanto, considerando le capacità di elaborazione di tali sistemi, e senza regole chiare, nel prossimo futuro i contribuenti potrebbero essere inondati di avvisi di irregolarità e di accertamento, senza che l’Agenzia delle Entrate sia in grado, da parte sua, di assicurare il tempestivo esercizio del potere di autotutela ogniqualvolta all’incongruenza non corrisponda un’irregolarità. Il rischio non è per la riservatezza dei dati, ma per la burocrazia che ne deriverà.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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