E' legittimo il patto di demansionamento con attribuzione di una retribuzione inferiore se ha lo scopo di evitare il licenziamento dovuto a ristrutturazione aziendale o soppressione del posto di lavoro.
E' la risposta fornita ad uno specifico quesito dal Ministero del Lavoro, che si e' richiamato ad una consolidata giurisprudenza in proposito della Corte di Cassazione. In base al codice civile, il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali e' stato assunto o a mansioni equivalenti, senza alcuna diminuzione della retribuzione; ogni patto contrario e' nullo. Sono quindi di regola vietati patti che introducano modifiche peggiorative nella posizione del lavoratore, che puo' al massimo essere adibito a mansioni equivalenti, intendendosi per tali quelle che gli consentono di conseguire quegli incrementi professionali che avrebbe potuto acquisire nelle mansioni originarie. L'assegnazione a mansioni inferiori e' tuttavia lecita quando cio' corrisponda all'interesse del lavoratore stesso, al fine di evitare il licenziamento: si considera infatti prevalente l'interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro quando il demansionamento costituisca l'extrema ratio contro il licenziamento. Si tratta di ipotesi che vanno verificate in concreto e che si considerano verosimili quando il demansionamento e la riduzione della retribuzione riguardino un congruo numero di lavoratori e quindi una evidente diminuzione dei costi aziendali. Parzialmente diversa e' la risposta al quesito riguardante una lavoratrice madre rientrata al lavoro prima del compimento di 1 anno di eta' del bambino.
Posto che la donna non puo' essere licenziata finche' il figlio non abbia compiuto 1 anno, neanche in caso di soppressione del posto di lavoro, essa puo' essere adibita a mansioni inferiori per evitare il licenziamento purche' cio' sia dovuto a provate esigenze tecniche e produttive o di riduzione dei costi e non esistano alternative diverse per garantire la conservazione del posto di lavoro. Non e' invece possibile in questo caso procedere alla decurtazione della retribuzione fino al compimento di 1 anno di eta' del bambino, perche' cio' e' in contrasto con la norma che vieta comunque il recesso del datore di lavoro.
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