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Assassini di sogni

Autore: Ester Annetta
Immaginate che, in un tranquillo pomeriggio d’estate Marwah esca di casa, serena e contenta, per andare a comprare dei dolci. Il negozio non è molto distante - appena una cinquantina di metri - e Marwah conosce bene quel breve tragitto. La città in cui vive è molto popolosa; per la strada c’è un via vai continuo di gente, il traffico, i negozi, specie nel quartiere dove lei vive, quello del vecchio mercato ortofrutticolo. Marwah perciò percorre quel breve tratto di strada in tutta tranquillità, immersa nei suoni e nei colori che la circondano.

Immaginate che, mentre cammina spensierata, un uomo le si pari davanti, bloccandole la strada. È grande e grosso tanto da schermare, con la sua sagoma, il sole ormai calante, proiettando la sua ombra su Marwah.

Immaginate che le chieda dove stia andando e se può accompagnarla e che Marwah, un po’ ingenua, accetti l’offerta di quell’uomo la cui mole le infonde sicurezza e protezione.

Pochi metri più avanti, il viale che stanno percorrendo incrocia una stretta via laterale. Immaginate che l’uomo, all’improvviso, con una mossa fulminea agguanti il braccio di Marwah e si infili in quella strada. Lei è confusa e disorientata, non capisce cosa stia succedendo. Prova a protestare, ma l'uomo l’avvinghia tenendole una mano sulla bocca per impedirle di parlare, anzi, di urlare.

Si allontana con la sua preda, addentrandosi in vicoli sempre più stretti, fino ad arrivare ad una piccola porticina che dà in uno scantinato buio e umido.

Non ha bisogno di legare Marwah: è tanto minuta e gracile che non può opporre alcuna resistenza; non c’è neanche bisogno di imbavagliarla: quel luogo è talmente isolato che nessuno può sentire alcunché, neanche se Marwah gridasse a squarciagola.

Immaginate, quindi, che, con una violenza spropositata ed incontrollabile, l’uomo stupri ripetutamente Marwah e, infine, placata la sua libido, la colpisca più volte con violenza alla testa con pugni e calci, uccidendola. Poi, nel tentativo di far sparire ogni traccia che possa ricondurre a lui, immaginate che l’uomo porti il corpo in una discarica poco lontana e gli dia fuoco.

Ora cambiate scenario.

Immaginate che sia una notte d’estate; un gruppo di giovani amici sta rincasando da un locale dove ha cenato e ascoltato buona musica. Nessuno di loro è ubriaco o alticcio; sono tutti bravi ragazzi, educati, gentili e responsabili.

Mentre si dirigono alla loro auto, notano un ragazzo circondato da quattro energumeni che gliele stanno suonando di santa ragione.
Willy si stacca dai suoi compagni e corre in aiuto di quel ragazzo, che gli è sembrato di riconoscere; ma non è questo il motivo per cui accorre: lo farebbe lo stesso, anche se non lo conoscesse.

Immaginate che, con calma e tentando si usare la massima persuasività, Willy provi a placare gli animi dei quattro picchiatori. Ma due di loro, che del picchiare hanno fatto un’arte se non addirittura un mestiere, non perdono l’occasione di potersi esibire in una delle loro performance anche nei confronti di quell’ingenuo malcapitato che ha osato interromperli.
Così, a pugni e a calci, finiscono per ucciderlo.

Immaginate adesso che Marwah fosse solo una bambina di cinque anni, pakistana, di Karachi, e che Willy fosse un ragazzo ventunenne, figlio di genitori capoverdiani, nato in Italia e residente a Colleferro, nella provincia di Roma.

A parte il dettaglio dell’età delle due vittime che rende ancora più penoso il loro dramma, fa una qualche differenza la loro etnia o il luogo in cui vivevano?

La violenza non ha connotati di razza, religione o lingua; è fatta solo di persone e di azioni e non importa in quali coordinate geografiche si collochi o quale sia il colore della pelle o della bandiera delle sue vittime.

Né può costituire un’attenuante la circostanza che i carnefici agiscano per fanatismo piuttosto che per perversione, o per follia anziché per esibizionismo.

Il dramma della realtà è quello di due vite recise ancora troppo in erba, l’aver distrutto i loro sogni, l’aver impedito che avessero un futuro.

Di Marwah non si sa molto; i giornali hanno riportato unicamente la notizia del suo scellerato assassinio, senza fornire ulteriori dettagli; sicché davvero di lei si può immaginare qualunque storia, qualunque vissuto, sebbene venga di certo più facile pensare che non fosse una principessa di nobile stirpe ma una di numerosi fratelli, cresciuta in una modesta famiglia nella periferia di una delle città più popolose del mondo. Ma, a cinque anni, di diventare principessa poteva ancora sognarlo, invece che morire di ingenuità.

Di Willy si sa che era un bravo ragazzo, conosciuto e stimato da tutti; studiava all’istituto alberghiero, lavorando contemporaneamente come aiuto cuoco in un ristorante. Lui certo non aveva più l’età per credere di poter diventare un principe, ma un bravo chef sì, poteva senz’altro sognare di diventarlo, invece che morire d’altruismo.

Immaginate allora di essere i loro carnefici, degli esaltati affascinati dal gusto d’avere potere di vita o di morte sui loro simili, cacciatori di frodo dei destini altrui, sognatori anch’essi, ma di squallide perversioni.

E provate ad assolvervi o a perdonarvi. Se ci riuscite.
Possa allora la coscienza non darvi mai pace.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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