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Come i bambini

Autore: Ester Annetta
Francesca ha undici anni e da quando ne aveva otto vive un terribile incubo.

Quando ha provato a raccontarlo a suo padre e a sua nonna, le hanno detto che lavorava troppo di fantasia, che vedeva troppi film e che doveva smettere di raccontare fandonie perché avrebbe potuto causare seri problemi ai suoi cari.

Così Francesca ha taciuto, per timore che il racconto della sua vicenda potesse essere causa di “rovina”, potesse distruggere la felicità ritrovata da sua madre col suo nuovo compagno, potesse alterare l’armonia di quella nuova famiglia che si era ricostruita attorno a lei ed alle sue sorelline più piccole.

Perciò ha continuato ancora a subire gli abusi di quel nonno acquisito – il padre del compagno di sua madre – che andava a prenderla all’uscita di scuola per portarla in luoghi appartati dove le sue urgenze si erano fatte col tempo sempre più incalzanti e le sue pretese sempre più deplorevoli, consapevole di aver ormai piegato la resistenza di quella vittima bambina alle sue selvagge pulsioni senza tema di essere scoperto e denunciato. Tanto più che con le botte, le minacce o la promessa d’un gelato, sapeva di avere ormai il dominio totale tanto sul suo corpo che sulla sua volontà.

Ma la maestra di Francesca, attenta a quella sua evidente tristezza, a quel suo tendere ad isolarsi dai compagni come se temesse che la sua impurezza fosse visibile e potesse causarle vergogna, ha voluto capire di più. E così l’ha accarezzata, l’ha curata, l’ha rassicurata e amata finché lei ha schiuso i cardini della sua disperazione e le ha parlato, rivelandole quel mondo di perversione, di abominio e di solitudine, così lontano dai colori, dalla luce e dalla bellezza che sarebbero stati consoni ai suoi pochi anni.

Ora quell’indegno nonno è finito in carcere, e la “rovina” tanto temuta da Francesca pare che la sua famiglia se la sia infine procurata da sé, a causa di quell’omertà che l’ha resa complice di tanta turpitudine e tanti abusi, che non le erano affatto sconosciuti.

Francesca è un nome di fantasia ed il luogo e il tempo in cui la sua storia si colloca - anche se noti e recentissimi - poco importano, dacché è una, esemplare, delle tante che continuano a restare sepolte.

Importa invece che ancora una volta si torni a parlare di bambini per via dei loro drammi; importa che quando “piccoli umani” compaiono sul palcoscenico dei media, accada perché è di qualcosa di terribile che si deve raccontare; importa che le storie che li ritraggono sono solo di violenza: quella di un padre che li ha assassinati per far dispetto all’ex moglie; quelle di un compagno che li ha massacrati di botte sotto gli occhi della madre sua compagna perché considerati un ostacolo alla loro relazione; quella di un assassino spietato che non si è fatto scrupolo della loro età pur di punire altri per il tramite del loro omicidio; quella di una sposa bambina morta per le complicazioni d’un rapporto o di una gravidanza prematura; quella di una malattia spietata che si è accanita su corpi troppo gracili; quella di una guerra che ne ha prepotentemente sottratti a centinaia ai sogni e ai desideri della loro infanzia.

Di fronte a tanto orrore, alla sceneggiatura di tali tragedie date in pasto a spettatori che sembrano quasi assetati di spietatezza e disperazione e che, spinti da un’insana curiosità, pare quasi vogliano immergersi nelle stesse perversioni, andando alla ricerca febbrile dei dettagli più scabrosi, si dimentica la bellezza dell’innocenza.

Sembra, anzi, che i bambini, al di fuori dei fatti di cronaca, non esistano, se non per le loro famiglie, le scuole, le tante attività che si sono scelte per loro, e si collocano al di là della frontiera dell’interesse comune.

Non interessano le statistiche positive che vedono protagonisti il loro benessere e le loro attitudini; non rileva il loro potenziale, non conta il loro peso.

“I bambini sono inutili”, perché non decidono, non votano, non rappresentano forza lavoro; non producono, ma consumano e basta. E, perciò, se non sono oggetto di brutte notizie, non fanno notizia, non interessano.

Sarebbe invece necessario dedicare loro anche spazi positivi e prendere come esempio la loro libertà da orpelli ideologici ed intellettuali, la loro spontaneità, la loro capacità di vedere il mondo senza filtri e quella semplicità che non ambisce a pretese illegittime, che non distorce, non provoca, non violenta.

Bisognerebbe, ogni tanto, fare l’esercizio di tornare bambini per ricordarsi che non c’è solo il bianco e il nero ma un’infinita varietà di colori, che la trasparenza equivale a verità senza inganno, che la prepotenza non provoca che isolamento ed insoddisfazione e che la vita merita d’essere vissuta e amata con lealtà e rispetto.

E servirebbe guardare tutto ciò che ci opprime con la mente positiva d’un bambino e con la limpidezza del suo sguardo, perché ci appaia meno insopportabile.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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