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Il confinamento dovuto al Covid-19 ha prodotto un’esternazione di opinioni politiche senza precedenti, mediante, soprattutto, l’utilizzo della rete e delle piattaforme liberamente accessibili da chiunque. Il diritto di accesso a internet è stato di recente qualificato come diritto fondamentale dell’uomo, poiché esso concretizza in maniera dirompente il diritto di informare e di essere informati alla base dello Stato di diritto democratico. Esso diffonde come mai prima l’esercizio del quarto potere, quello informativo. Nel 2015, in Italia, è stata emanata la Dichiarazione dei diritti in Internet. Si tratta di un passo importante, sebbene il concetto di diritti fondamentali dell’uomo sia già in crisi tra gli studiosi di filosofia del diritto.
Che si tratti dell’Internet degli Oggetti, dei robot, dell’intelligenza artificiale, della catena dei blocchi (blockchain) o delle nuvole (cloud), la tecnologia ‘base’ è quella delle telecomunicazioni. Solamente attraverso questo canale, infatti, è possibile mettere in contatto tutte le apparecchiature che si stanno sviluppando ed evolvendo, nonché immagazzinare un’enorme quantità di dati per permetterne il funzionamento.
E solamente mediante detto canale si può consentire, attraverso la connessione delle apparecchiature, anche quella delle persone
L’accesso a internet, pertanto, è fondamentale, soprattutto in questo periodo di confinamento nelle proprie abitazioni causato dalla gestione istituzionale del diffondersi del Covid-19, facente parte della famiglia dei Coronavirus, che implica, come noto, difficoltà respiratorie.
La didattica a distanza e il telelavoro, difatti, sono possibili esclusivamente mediante internet.
Si ripropone, così, con ancor maggior vigore rispetto al recente passato, la tematica di assicurare al maggior numero di persone l’accesso a internet.
Si tratta di una preoccupazione che è già circolata ed è ben conosciuta dai rappresentanti delle istituzioni europee e di quelle italiane.
A livello europeo vale la pena di richiamare il Regolamento (UE) n. 1316/2013, relativo all’istituzione del MCE (Meccanismo per Collegare l’Europa), in cui, trattando degli investimenti infrastrutturali per i collegamenti, oltre a essere previsto (soprattutto) un progetto relativo ai trasporti delle merci, è anche evidenziata l’esigenza di rendere disponibile l’accesso a internet ad alta velocità a tutti i cittadini dell’Unione anche nelle regioni meno sviluppate. Inoltre nel Regolamento (UE) 2015/2120, in cui sono stabilite le misure concernenti l’accesso a un’internet aperta, è chiarificato che il diritto si concretizza nel diritto di accedere a informazioni e contenuti, di diffondere i medesimi, nonché di utilizzare e fornire applicazioni e servizi senza discriminazioni.
In ambito nazionale, invece, un testo di riferimento di fondamentale importanza è la misconosciuta Dichiarazione dei diritti in Internet del 28 luglio 2015. Si tratta di un testo, costituito da 14 articoli, elaborato e approvato dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad internet, costituita presso la Camera dei deputati. Nel preambolo di tale documento è avanzata una costatazione di capitale importanza: “Internet ha contribuito a ridefinire o spazio pubblico e privato […] ha ampliato la possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica” e, al contempo, è chiarito che le istituzioni devono garantire la libertà, l’uguaglianza, la dignità e la diversità di ogni persona per assicurare il funzionamento democratico delle istituzioni. Tali diritti possono esser garantiti mediante il diritto di accesso a internet.
Da ciò ne consegue, in particolare, che: in internet devono essere assicurati i diritti fondamentali di ogni persona (art. 1) e che l’accesso a internet è diritto fondamentale della persona (art. 2).
Rappresenta, quest’ultimo, un punto decisivo, poiché esso si configurerebbe come un diritto sociale, in quanto consentirebbe l’esercizio degli altri diritti fondamentali, i quali, a loro volta sarebbero il nucleo da cui esso discende. Pertanto essi devono essere garantiti dallo Stato e la rete stessa è qualificata come bene pubblico, luogo di sviluppo della propria personalità. Da ciò il diritto all’identità digitale (art. 9).
Orbene, sembrerebbe una grande conquista la dichiarazione che il diritto di accesso alla rete è un diritto fondamentale. Tuttavia, oltre le difficoltà pratiche di attuare una tale presa di posizione, non ultima quella di carattere finanziario (ognuno di noi si deve, difatti, procurare le apparecchiature informatiche per proprio conto – anche per far studiare i giovani che vanno a scuola in questo periodo di confinamento), occorre considerare che il concetto in sé di ‘diritti fondamentali dell’uomo’, secondo alcuni dei più avanzati pensieri nell’ambito della filosofia giuridica, è già in crisi.
Crisi derivante dalla loro costituzionalizzazione. Occorre ricordare che la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 non aveva valore giuridico e, rispetto ai regimi passati, la più importante novità era rappresentata dai diritti di espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni. Attualmente, invece, il valore base che li sostiene è quello dell’uguaglianza, anche al di là delle frontiere, unito a quello di non-discriminazione. In un certo senso e modo è come se fosse stato istituzionalizzato il dovere di amore per l’altro (non necessariamente ‘prossimo’). Si tratta, insomma del fondamento di una sorta di religione secolarizzata, la quale si potrebbe ritorcere contro gli stessi soggetti che l’hanno santificata, poiché incurante delle identità dei gruppi che la seguono (cfr. Harouel, I diritti dell’uomo contro il popolo, Macerata, 2018).
Comunque sia, attualmente, il riconoscimento del diritto di accesso a internet dovrebbe quantomeno indurre a riconsiderare il rapporto tra la persona e lo Stato, e tra i diversi Stati, soprattutto in relazione, oltre agli aspetti economici, al diritto all’informazione, poiché momento necessario per qualsiasi tipo di giudizio critico e valutativo. Uno Stato democratico, infatti, per potersi definire tale, ha necessità dell’informazione; e dell’informazione libera (che cioè non scada nella propaganda dello Stato totalitario) (cfr. Lipari (a cura di), Giustizia e informazione, Roma-Bari, 1975). In breve, dell’esercizio del Quarto potere – da affiancare ai ‘classici’ tre: legislativo, esecutivo, giudiziario, che devono rimanere distinti (cfr. Montesquieu, Spirito delle leggi, 1748).
Il periodo di confinamento, che stiamo ‘assaporando’, ha prodotto, come dimostrano le esternazioni sui giornali, sulle riviste e sui social, uno scambio di idee politiche (che non si deve ridurre a un’etica né tantomeno a una morale, ma nemmeno piegarsi a un gioco economico di pareggi di bilanci) senza precedenti. E questo fenomeno, mi pare, non può che essere accolto favorevolmente: il quarto potere è sempre più diffuso e distinto dagli altri tre.