31 maggio 2021

Covid 19: le ripercussioni sul mondo del lavoro

Lo scoppio della pandemia, ha inciso, significativamente, sul mondo del lavoro, il quale presentava delle difficoltà, già in precedenza. Le categorie maggiormente colpite, risultano essere, in particolare, le donne, i giovani, gli anziani e gli stranieri.

Una conseguenza dello scenario attuale potrebbe essere una rinuncia al lavoro ed il sottrarsi alle dinamiche che permettono di cercare e trovare un impiego. Tali considerazioni emergono dal nuovo rapporto AGI/Censis, intitolato “Il lavoro inibito: l’eredità della pandemia”, nuovo capitolo del progetto “Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020/21”, a cura dell’istituto di Piazza di Novella per l’Agenzia giornalistica Italia.

Nel dettaglio, nel 2020, si sono registrati 456.000 occupati in meno, equivalente al -2,0%, in riferimento al 2019. Si sottolinea un incremento degli inattivi pari a 711.000 in più. Un numero significativo di persone della popolazione che non considerano il lavoro una priorità, e tra di loro, circa 3 milioni di persone avrebbero l’opportunità di lavorare. Nel corso di un anno, tale quota, è aumentata di 217.000 unità.
Molte persone che hanno perso il lavoro, si apprestano a cercarlo per la prima volta o sono stati assenti dal mondo lavorativo per un determinato periodo, considerano la ricerca di un nuovo lavoro, alquanto complessa, per essere affrontata con i propri mezzi e le proprie risorse, nella situazione attuale in cui riversiamo.

In particolare, nel 2020, hanno perso il lavoro 185.000 persone, nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 29 anni: -6,4% rispetto al -2,0% totale. La quota dei giovani che non sono in cerca di un lavoro ammonta a 3 milioni. Per quanto concerne le donne, la situazione è leggermente migliore, le occupate sono diminuite del 2,5%, mentre si evidenzia che sono 272.000 in più, le donne che hanno scelto di non cercare un impiego, superando i 14 milioni alla fine del 2020. Tra gli stranieri, invece, gli occupati sono diminuiti di 159.000 unità, mentre gli inattivi sono aumentati del 15,3% (+199.000). Si sottolinea, tra l’altro, che sono oltre un milione, le famiglie italiane con occupati irregolari, di cui il 33% stranieri.

La pandemia, d’altra parte, ha influito significativamente sul reddito delle famiglie italiane, in maniera differente, in relazione misure restrittive che hanno limitato le attività produttive. Nel dettaglio:
  • Il 5,5% delle famiglie ha subito una riduzione del reddito superiore al 50% rispetto al periodo pre Covid 19;
  • Il 9,1% ha dichiarato una riduzione tra il 25% e il 50%;
  • Il 16% una riduzione minore del 25%;
  • Il 43,2% dei lavoratori autonomi ha reso nota la stabilità del proprio reddito rispetto al periodo pre-pandemia, a dispetto del 66,5% dei lavoratori dipendenti.
  • Le famiglie dei lavoratori dipendenti che hanno riscontrato una perdita del reddito sono pari al 27,9%, mentre quelle dei lavoratori autonomi la percentuale raddoppia (54,7%).

In media 3 famiglie su 10 hanno subito una diminuzione del reddito, si esplica che già prima dello scoppio della pandemia, il così detto “lavoro povero” (meno di 9 euro all’ora), comprendeva circa 3 milioni di occupati, dei quali, il 53,3% composto da uomini, mentre il 46,7% da donne. Si fa riferimento, dunque, ad oltre un milione di giovani lavoratori, under 30, e ad 1,4 milioni di età compresa tra i 30 e i 49 anni. Il 79% includeva la categoria degli operai (2,3 milioni) ed il 12,3% gli impiegati.

La riduzione delle opportunità di crescita ha avuto una conseguenza immediata sull’occupazione indipendente. Nel lasso temporale 2015-2020 la diminuzione del lavoro indipendente si assestava a mezzo milione, e, contemporaneamente, l’occupazione in generale aumentava di 306.000 unità. Il 2020, caratterizzato dalla pandemia, ha influito particolarmente sull’andamento del lavoro indipendente, con una riduzione complessiva di 158.000 occupati, tra cui 59.000 lavoratori autonomi e 38.000 professionisti.

Infine, in riferimento allo smart working, da una recente indagine del Censis, emergono i maggiori rischi correlati a quest’ultimo, secondo i lavoratori. Tra i motivi, indubbiamente, la riduzione di socialità dettata dal rapporto diretto e giornaliero con i colleghi (48%), il fatto di dover lavorare in un contesto non idoneo, per quanto riguarda la disponibilità di spazio e dotazioni (40,4%), il rischio di lavorare oltre l’orario previsto e non cogliere il confine tra lavoro e non lavoro (36,3%), l’assunzione dei costi collegati alla connessione e ad altri servizi necessari per la postazione di lavoro (29,7%), le minori opportunità di crescita professionale e di carriere (22,0%).
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