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famiglia - assegno unico - figli

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Famiglia è…

Autore: Ester Annetta
Figli assassini che uccidono i genitori; madri iperprotettive determinate a porre fine all’esistenza delle loro creature perché temono di perderne il controllo; mariti che maltrattano o uccidono le loro mogli; parenti-serpenti disposti a rinnegare ogni affetto familiare in nome d’un misero guadagno economico; genitori tanto inadatti da lasciar morire d’inedia o per traumi procurati da percosse i loro bambini…

C’è una casistica spietata e spaventosamente numerosa di situazioni che dipingono un quadro drammatico di disfunzionalità del modello familiare, di fronte al quale appaiono davvero ridicole e pretestuose le accorate battaglie condotte da chi considera che destabilizzante – sotto il profilo educativo e morale – sia invece l’ammissibilità di famiglie monogenitoriali e arcobaleno.

Persino gli stracci che volano tra futuri-ex-coniugi all’indomani di una separazione, quando gli animi sono ancora troppo accesi e guadagnano facilmente terreno accuse, dispetti e rappresaglie, sono ben più dannosi, specie se tutto avviene in contraddizione con il dichiarato intento di non turbare la serenità dei figli e di proteggerli ad oltranza. Anche in quel caso, infatti, opera un criterio disfunzionale che si basa sullo screditamento dell’altro genitore e sulla demolizione della sua l’immagine, nel tentativo di accaparrarsi l’affetto esclusivo dei figli portandoli dalla propria parte.

Se poi tutto viene dato anche in pasto al gossip attraverso canali mediatici (il riferimento non casuale è alla “Totteide”, vistoso esempio in questi giorni) il danno – nel breve ma soprattutto sul lungo periodo - potrebbe risultare irreversibile.

Di fronte a tanto sfacelo viene allora da domandarsi quale immagine di famiglia si stiano oggi costruendo le nuove generazioni, quale modello abbiano imparato a riconoscere e, prima ancora, se continuino davvero a credere nei suoi valori.

L’analisi indotta da tali interrogativi richiederebbe di soffermarsi primariamente su tante singole tessere che, nel loro insieme, compongono il mosaico intero. Il concetto di famiglia include infatti necessariamente il richiamo ad aspetti quali: il legame affettivo/amoroso, il senso del dovere e di responsabilità, lo spirito di sacrificio, l’etica ed il rispetto dei valori, nonché (e su tutte, forse) la reciprocità e la capacità di essere riconoscenti.

Quanto ne possiedono i giovani di tutto questo? Possono dirsi pronti ed “allenati” – come lo siamo stati noi delle passate generazioni – a farsi carico di tante implicazioni prima ancora che di una famiglia intesa come nucleo sociale?

Se penso ai nomi e ai volti reali (perlopiù giovanissimi) dei protagonisti di alcune delle vicende indicate esemplificativamente in principio di questa riflessione, sarei propensa a rispondere negativamente. Egoismo, narcisismo, indolenza, indifferenza, irresponsabilità e insicurezza – ritenute spesso caratteristiche dominanti dell’attuale gioventù – sono ingredienti incompatibili con le “pretese” sopra accennate. E diventa perciò necessario impegnarsi nella direzione di educare i giovani a tali pretese, trasformando in ordinarietà ciò che ora appare come eccezionalità, quell’azione straordinaria ed inattesa di un singolo che si discosta dal “malcostume” comune.

Mi sovviene in proposito la recente storia di un giovanissimo calciatore croato, Robert Peric-Komsic, protagonista di un gesto di coraggio e di generosità estrema ma, prima ancora, di profonda gratitudine.

Pur essendo un professionista con una promettente carriera, Robert, a soli 23 anni, non ha esitato a sottoporsi volontariamente ad un intervento che sapeva avrebbe pregiudicato il suo futuro di calciatore pur di salvare la vita a colei che gliel’aveva data. E così ha donato a sua madre – da tempo gravemente malata – buona parte del suo fegato, consentendole di vivere con serenità e più dignitosamente il resto della sua esistenza.

La foto che lo ritrae dopo l’intervento nel suo letto d’ospedale ancora sedato ed intubato, messa a confronto con una analoga che immortala sua madre con il pollice sollevato a significare che è andato tutto bene, è un’immagine d’una gigantesca potenza, la concreta rappresentazione di ciò che lo stesso Robert – dando una eccezionale lezione di riconoscenza e umanità - ha dichiarato qualche giorno dopo ad un intervistatore: “ho fatto quello che credo farebbe chiunque sia cresciuto in una famiglia funzionante. Mia madre mi ha dato la vita, io ho allungato la sua”.

È chiaro che donare un organo non è il protocollo necessario per dimostrarsi capaci di riconoscenza e gratitudine; ma nel gesto di Robert - e soprattutto nelle sue parole – c’è un altro messaggio che più chiaramente può leggersi, ed è che amore e rispetto sono la base su cui si costruisce una “famiglia funzionante”.

Indipendentemente dai “colori”.

Indipendentemente dall’età.

Ed è quello che ho tenuto a dire a Davide il primo giorno di scuola, quando, abbassando le difese di quel muro di arroganza tipico dei suoi sedici anni, mi si è avvicinato con lo sguardo spaurito perché aveva “una cosa importante da confidarmi”; e lo ha fatto mostrandomi l’immagine di una ecografia in cui un esserino di pochi centimetri fluttuava nel suo silenzioso mondo d’attesa.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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