20 aprile 2024

FMI: il debito italiano ha bisogno di un aggiustamento

Secondo il report “Fiscal Monitor”, quest’anno il debito sovrano dell’Italia dovrebbe salire a +140%: necessari sforzi duraturi di risanamento di bilancio

Autore: Germano Longo
Il rapporto “Fiscal Monitor”, strumento del Fondo Monetario Internazionale, è di fornire indicazioni ai Governi sulle misure fiscali più efficaci, trasparenti e responsabili per tutelare imprese e cittadini dagli effetti della crisi. È la chiave di lettura necessaria per meglio interpretare le parole di Victor Gaspar, direttore del dipartimento affari fiscali dell’FMI, pronunciate a Washington nel corso della recente conferenza stampa di presentazione del report: “L’Italia è un’economia avanzata con un debito elevato, è un Paese dove c’è per tradizione una preoccupazione per il mercato dei bond e per lo spread. La nostra raccomandazione è che sarebbe importante un credibile aggiustamento di bilancio per mettere il debito su una traiettoria di calo sostenibile. Negli anni recenti l'Italia è cresciuta, ma andando avanti la dinamica non è favorevole: la crescita è prevista e i costi di finanziamento del debito saliranno. Sarebbe importante un credibile aggiustamento di bilancio per mettere il debito su una traiettoria di calo sostenibile”.

Secondo le previsioni della FMI, il debito italiano dal 2025 al 2029 salirà al di sopra del 140%, il deficit calerà al 3% nel 2026 per scendere al 2,9% l'anno successivo e poi tornare ad assestarsi sul 3% tra il 2028 e il 2029. Dopo il 139,2% del Pil nel 2024, il debito salirà al 140,4% nel 2025, al 142,6% nel 2026 e al 143,1% nel 2027: nel 2028 e nel 2029 si attesterà sopra il 140%, rispettivamente a 144,7 e 144,9%.

“La probabilità che l'Italia raggiunga il deficit primario necessario per stabilizzare i suoi livelli di debito, stimato a più dello 0,5% del Pil per il 2024, è meno del 50%, indicando la necessità di ulteriori sforzi di bilancio nei prossimi due anni – aggiunge il Fiscal Monitor - alcune economie come Italia e Giappone hanno annunciato nuovi piani di stimolo di bilancio e nuove iniziative di spesa, spesso sulla base di ipotesi di finanziamento ottimistiche: il debito globale è previsto vicino al 100% del Pil entro il 2029 e l’aumento sarà spinto da alcune grandi economie (Cina, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), che hanno bisogno di agire per affrontare gli squilibri fondamentali fra la spesa e i ricavi”.

Nelle stesse ore, attraverso il Bollettino economico, BankItalia ha ribadito le cifre della proiezione del 5 aprile scorso che davano un Pil in crescita dello 0,6% nel 2024 (0,8 escludendo la correzione per le giornate lavorative), dell’1,0% nel 2025 e dell’1,2% nel 2026, una stima superiore a quella del Centro Studi Confindustria, che contiene il Pil al +0,9% quest’anno e all’1,1% il prossimo. Secondo il Centro Studi diretto da Alessandro Fontana, “Dopo una crescita 2023 che è pari al doppio di quella media dell'Eurozona per quest'anno ed il prossimo due fattori potranno sostenere ancora la crescita italiana su ritmi significativi: il primo è il taglio dei tassi di interesse da parte della Bce, il secondo è l’attuazione del PNRR. Ma a fronte di questi due potenti stimoli alla crescita ci sono viceversa vari fattori che tenderanno a frenare il Pil italiano”.

Nel 2024, sempre secondo il bollettino dell’Istituto Centrale, l’inflazione dovrebbe rimanere contenuta all’1,3% per salire all’1,7 nei prossimi due anni. Ma restano alti i rischi di una crescita orientata al ribasso per via della riduzione degli incentivi edilizi e delle conseguenze di una generale condizione di debolezza del commercio mondiale.

Dopo la forte risalita registrata alla fine del 2023, resta stabile nei primi due mesi dell’anno il bilancio dell’occupazione, anche se con il contraltare della disoccupazione, ferma a livelli storicamente fra i più bassi. La speranza è di una spinta alla dinamica del costo del lavoro nel corso dell’anno, sulla spinta di rinnovi contrattuali nel terziario.

Il bollettino di BankItalia fa anche il punto sull’impatto della crisi nel Mar Rosso: “I rischi che il recente aumento dei costi di trasporto marittimo si traduca in forti pressioni inflattive in Europa appaiono al momento limitati. Anche in uno scenario particolarmente pessimistico, in cui i noli marittimi si stabilizzassero su livelli superiori al picco raggiunto in aprile, si assisterebbe a un rialzo dell'inflazione al consumo nell'area euro pari al più a 0,3 punti percentuali”.
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