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I picchiatori

Milano, zona Bocconi - 24 maggio 2023

Autore: Ester Annetta
La donna è seduta in terra, sul bordo dello stretto marciapiede che delimita l’area destinata al parcheggio dei motocicli.

Non si odono le voci né i dialoghi: li copre l’acuto strillo di una sirena che passa in sottofondo.

Lei però è ferma, pacata; non mostra atteggiamenti minacciosi né impugna armi: non una pistola, non un coltello, nemmeno un bastone o un sasso. Nulla.

Parla, si. Forse inveisce o pronuncia fasi sconnesse che, quant’anche fossero minacce, sono di fatto neutralizzate dalla sua evidente inerzia.
Anzi, ad un cento punto tende persino le braccia in avanti in un gesto che potrebbe intendersi come di resa o una richiesta d’aiuto per sollevarsi da quella scomoda seduta.

In tre le stanno di fronte: la gambe larghe, le spalle aperte, i manganelli in mano, nella tipica posa di chi si prepara a contrastare un attacco o a sferrarlo.

Quella donna però sembra davvero innocua, inerme. Il suo atteggiamento non tradisce alcunché che lasci presagire che da un momento all’altro possa trasformarsi in una furia: non si alza, non punta, non provoca.

Eppure improvvisamente quei tre le sono addosso: uno, per primo, la colpisce col manganello sul costato. Lei, d’istinto, con le braccia si para il viso anziché il fianco, come se temesse che il tiro dei colpi possa alzarsi.

E non ha torto, perché poco dopo anche il secondo l’assale: la spinge e la strattona per farla alzare, mentre lei resiste e si oppone. Forse pensa che rimanendo seduta possa aumentare le probabilità di apparire indifesa e inoffensiva, evitando così ulteriori percosse.

E invece ecco che arriva il terzo, che le sferra una violenta manganellata in testa.

A quel punto lei si accascia e si rannicchia, come a chiudersi in un invisibile guscio protettivo, una tana o un’utero materno dentro cui sentirsi al sicuro.

Prontamente, tutti e tre la circondano, la costringono a distendersi, la rivoltano su un fianco e infine l’ammanettano.

Non sanno che dall’alto, da una finestra poco sopra di loro, qualcuno ha osservato e ripreso con il proprio telefonino tutta la scena e che, di lì a poco, quelle immagini si diffonderanno a macchia d’olio, denunciando senza filtri, una volta tanto, ciò che forse accade molto più frequentemente di quanto non si immagini.

I tre non sono delinquenti, né balordi e nemmeno immigrati, come verrebbe subito e fin troppo facilmente da ipotizzare dacché, in quella stessa città poche settimane prima proprio alcuni di essi si sono resi protagonisti di aggressioni e stupri.

Sono, invece, tre uomini in divisa: tre agenti di polizia, che la violenza dovrebbero contrastarla anziché esercitarla, tanto meno gratuitamente.

A sua volta lei, la donna malmenata, è in realtà un transessuale brasiliano noto nella zona per le sue stravaganze: parla da solo, urla ed inveisce contro figure o circostanze immaginarie; ma non ha mai dato fastidio o creato problemi ad alcuno, né è mai stato violento. Il suo modo di fare ha soltanto causato, qualche volta, quell’istintiva tensione e la diffidenza che sempre accompagnano chi osserva il ‘diverso’, tendendo a sfuggirlo piuttosto che ad interrogarsi sul suo disagio, sulla sua difficoltà di sentirsi accettato dai ‘normali’ senza essere giudicato o emarginato, su cosa si possa fare per andargli incontro piuttosto che farlo sentire inseguito, braccato, perseguitato.

Un disperato come tanti, solo ed invisibile, che alza la voce per scacciare i suoi fantasmi ma anche per attrarre l’attenzione di un contesto umano che lo ignora o che, peggio, lo schiaccia come un verme viscido o un insetto fastidioso.

Perché, allora, tanta illegittima violenza? Perché sempre più spesso la tutela dell’ordine pubblico viene fraintesa a tal punto da diventare esercizio arbitrario di un potere se non perfino abuso? Perché una divisa dovrebbe diventare il salvacondotto per concedere l’immunità a chi se ne serve per giustificare prepotenze o addirittura perversioni?

È allora forse anche da questi guasti che sarebbe opportuno difendersi, prima ancora che da minacce presunte o reali; da questi eccessi che la violenza non la domano ma semmai la fomentano; dalla coercizione, dalla sopraffazione e dalla repressione arbitrarie che - quando non inducono le vittime a soluzioni autolesionistiche estreme – istigano certamente alla ribellione, in nome di un sacrosanto diritto alla tutela della libertà e, soprattutto, del rispetto della dignità umana.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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