10 aprile 2021

Il gioco delle sedie

Autore: Ester Annetta
Popolerà per un po’ le pagine dei quotidiani e suggerirà senz’altro il conio di qualche pungente meme l’immagine della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che, stretta nell’angolo dell’inquadratura, si lascia sfuggire un sonoro “Ehm!” nel rendersi conto che, nel Palazzo di Ankara, dove sta per tenersi un incontro ufficiale fra Unione Europea e governo turco, manca qualcosa. Accanto a quella del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan c’è, difatti, una sola sedia, destinata, secondo il protocollo, alla carica più alta presente (che, secondo il manuale della Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, nell’ambito della rappresentanza esterna, è il Presidente del Consiglio Europeo, che dunque precede il presidente della Commissione).

Più che a “Una poltrona per due” - titolo d’una nota pellicola cinematografica che, di solito, i palinsesti televisivi ripropongono nel periodo natalizio - la scena mi ha fatto venire in mente un gioco che tutti – credo - abbiano fatto da bambini, magari in occasione di qualche festa di compleanno: il gioco delle sedie, appunto. Le regole sono molto semplici: si mettono in circolo tante sedie per quanti sono i giocatori, meno una; chi gestisce il gioco fa quindi partire una musica, sulle cui note i partecipanti devono muoversi in circolo attorno alle sedie. Nel momento in cui la musica viene interrotta, ognuno dovrà velocemente cercare di sedersi occupandone una; l’unico che non ci riuscirà, sarà eliminato. Si toglierà quindi anche una sedia ed il gioco proseguirà con i partecipanti rimasti, procedendosi via via allo stesso modo, per eliminazioni successive, finché non resterà un vincitore.

Mutatis mutandis (visto che il contesto di Ankara era di certo ben lontano da quello ludico), la sensazione provata dalla Presidente von der Leyen dev’essere stata simile a quella del partecipante tagliato fuori dal gioco, il che, considerata la situazione, ha immediatamente assunto una valenza metaforica, che proprio come tale è stata proposta all’opinione pubblica.

Immediatamente è infatti iniziato un mediatico processo alle intenzioni che – forse anche con qualche fondamento di verità – ha voluto considerare la pecca di protocollo come un segnale indiretto ben più incisivo, dove le interpretazioni possibili sono andate spaziando dalla manifestazione del mal celato sessismo di Erdogan alla sua arroganza nel voler dimostrare la poca considerazione del governo turco nei riguardi delle istituzioni dell’Unione Europea.

Fatto sta che lo “scandalo delle poltrone” ha finito per scavalcare ed assorbire il significato ed i contenuti di quell’incontro tra Europa e Turchia, finalizzato – come sarebbe stato opportuno che emergesse – a discutere ancora una volta sulla cooperazione possibile per consentire l’ingresso della Turchia nell’UE.

La questione è annosa. La Turchia è membro associato della Comunità economica europea dal 1963 e ha chiesto di aderire all’Unione nel 1987. Il riconoscimento ufficiale come stato candidato all'adesione è avvenuto dopo più di dieci anni, nel 1999, mentre i negoziati sono iniziati nel 2005. I progressi sono stati molto lenti. Ad oggi solo 16 dei 35 capitoli sui singoli temi riguardanti l’adesione sono stati aperti e trattati.

Per decenni il rapporto tra l'UE e la Turchia è stato fruttuoso in molti campi (in particolare il commercio e la cooperazione all’interno della NATO); ma negli ultimi anni le relazioni si sono raffreddate per via delle preoccupazioni europee sorte riguardo alle linee di condotta adottate dal governo turco, specie dopo l’avvento alla Presidenza di Erdogan. I temi più spinosi - a causa dei quali le trattative sono rimaste in stallo - attengono all’intervento militare turco in Siria1, alle attività di trivellazione illegale connesse alla ricerca e alla produzione di idrocarburi effettuate nel mare territoriale di Cipro (la cui parte nord e occupata dai turchi), alla condotta adottata verso i migranti2, allo stato di diritto e al funzionamento della democrazia nel Paese in seguito a diversi episodi antidemocratici (come la chiusura dei media e la carcerazione di alcuni giornalisti).

Negli ultimi mesi, tuttavia, grazie alla sospensione delle trivellazioni nel mare cipriota ed alla ripresa dei colloqui bilaterali per la ridefinizione dei confini marittimi tra Turchia e Grecia (sospesi da cinque anni), la strada al dialogo Ue-Turchia si è riaperta e sul tavolo degli impegni sono stati rilanciati i temi dell’unione doganale, della salute pubblica, del clima, della lotta al terrorismo e delle migrazioni. Argomenti che rappresentano altrettante promesse da parte della Turchia, che, trovandosi attualmente alle prese con una nuova crisi finanziaria, un’inflazione galoppante ed una moneta tragicamente svalutata, vede nel riavvicinamento all’UE un’opportunità di ripresa oltre che una strada di possibile passaggio verso una ricucitura anche delle relazioni con gli Stati Uniti che, dall’avvento di Biden (e a differenza di quanto concesso con Trump), hanno dimostrato poca tolleranza riguardo alle politiche turche, specie in materia di rispetto di diritti umani.

Ursula, dunque, con una prontezza ed una lucidità ammirevole, propria delle menti che – anche per ragione di ruolo – sanno riconoscere le priorità, non si è lasciata condizionare dalla mancanza di una sedia né tanto meno dalle implicazioni che i più hanno voluto attribuire a quella “dimenticanza”. Ha risolto prontamente la défaillance accomodandosi sul grande divano libero ed è andata dritta all’obiettivo, incurante della distanza fisica posta tra lei ed il suo principale interlocutore così come del “difetto di cavalleria” del suo collega Charles Michel, accomodatosi sull’unica sedia libera collocata accanto a quella del presidente turco.
Ha voluto dare a sua volta un segnale, una risposta a quello sgarbo, utilizzando la formula più efficace: minimizzarlo, dimostrando così che la priorità non era certo il protocollo ma le questioni di sostanza – come ha poi tenuto a precisare – e, dunque, che fosse più importante far avanzare un processo politico fra l'Ue e la Turchia.

La questione di genere – ammesso che fosse davvero rintracciabile nelle recondite intenzioni di Erdogan - non l’ha certo sottovalutata, ma ha, anche stavolta, alzato il tiro, preferendo spostarla su un piano più generale e meno contingente: più che la logistica d’una sedia mancante sono altri gli strumenti di offesa da cui bisogna preservare il genere femminile e, perciò, si è opportunamente soffermata sul ben più preoccupante annuncio fatto proprio poche ore prima dallo stesso Erdogan, a proposito del ritiro della Turchia dalla “Convenzione di Istanbul" contro la violenza sulle donne3.
Come dire, insomma, che, se in qualche misura può essere vero che, in diplomazia, la forma è anche sostanza, quest’ultima in finale e quella che poi davvero conta.

E sul campo della concretezza Ursula von der Leyen non è di certo seconda a nessuno, ovunque si sieda.

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1Nell’ottobre 2019 la Turchia ha lanciato l’operazione militare nel nord della Siria per creare una zona cuscinetto tra i confini dei due paesi dove poter spostare i rifugiati siriani che vivono in Turchia. Gli eurodeputati hanno condannato questa azione, adottando peraltro una risoluzione con cui hanno chiesto sanzioni contro l'operazione militare turca.

2Si ricorda, in proposito, che, in base ad un accordo siglato tra UE e Turchia nel marzo del 2016, tutti i migranti irregolari che arrivano sulle isole greche attraverso il confine turco vengono riportati in Turchia; in cambio, l’UE si è impegnata a versarle circa 6 miliardi di euro con lo “strumento per i rifugiati in Turchia”, finalizzato a fornire assistenza ai rifugiati in diversi settori, quali l'aiuto umanitario, l'assistenza sanitaria, l'istruzione e il sostegno socioeconomico. Tuttavia, nel suo discorso del 28 febbraio 2020, il presidente Erdoğan ha minacciato di riaprire il confine turco accusando l’UE di non avere mantenuto le promesse fatte. A seguito delle sue dichiarazioni, la Grecia ha dichiarato lo stato di emergenza e i leader europei hanno approvato un aiuto finanziario di 700 milioni di euro, impegnandosi inoltre a un incremento significativo dei fondi per la migrazione e la gestione dei confini nel bilancio europeo per il periodo 2021-2027.

3L’accordo è noto come Convenzione di Istanbul perché fu ratificato nella città turca, e la Turchia fu il primo paese a firmarlo. Era stato lo stesso Erdogan a firmarla nel 2011. Ora ha reso ufficiale il ritiro con un decreto presidenziale, che, secondo alcuni analisti sarebbe stato voluto dal presidente per ingraziarsi la base più conservatrice del suo elettorato. Negli anni successivi alla sottoscrizione della Convenzione, Erdogan l’aveva spesso citata come dimostrazione dei presunti avanzamenti della Turchia nell’ambito della parità di genere. In anni più recenti, con la progressiva deriva autoritaria assunta dal suo governo, le cose sono cambiate e il presidente ha cominciato a dare ascolto ai gruppi islamici più conservatori, di cui fanno parte anche molti esponenti di rilievo dell’AKP, il suo partito, secondo cui la Convenzione di Istanbul sarebbe contraria alle norme dell’Islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità.
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