1 ottobre 2022
immigrazione

Potrebbe interessarti anche:

Quotidiano
24 giugno 2023

Commedia in due atti

Leggi l'articolo
Quotidiano
22 luglio 2023

Intanto, a Sfax…

Leggi l'articolo
Quotidiano
30 settembre 2023

Io capitano

Leggi l'articolo
Quotidiano
10 giugno 2023

Dal Dolore all'amore

Leggi l'articolo
1 ottobre 2022

Il mare tra la vita e la morte

Autore: Ester Annetta
Vorremmo leggerne sempre di queste storie: tragedie, che pur restando tali nella continuità e nell’enormità dei loro numeri, a volte si colorano pure di bellezza, ricordando il miracolo della vita e l’importanza della solidarietà ad una umanità che troppo spesso le dimentica.

La storia è quella di Aisha e Sana, due bimbe siriane venute alla luce su un barcone impegnato nella traversata di quel Mediterraneo che molto più spesso è tomba anziché culla.

Le loro mamme, benché ormai a termine delle gravidanze, non avevano voluto rinunciare a quel viaggio di speranza, pur mettendo in conto le difficoltà dell’impresa ed il rischio che le loro creature potessero nascere “figlie del mare”, com’è poi stato.

Aisha è nata subito, appena ventiquattr’ore dopo la partenza dalle coste della Turchia, quando il peschereccio che trasportava sua madre e suo padre insieme ad altre duecento anime era già in mare aperto. E sono stati proprio gli altri passeggeri ad aiutarla a venire alla luce, ingegnandosi come meglio hanno potuto, non disponendo di alcuno strumento o accessorio, a parte la copertina e la tutina rosa che la mamma aveva avuto cura di portare con sé e che l’ha tenuta al caldo per il resto della navigazione.

Sana è nata invece cinque giorni dopo, ancora in alto mare, ancora lontana dalle coste della Calabria che più tardi l’avrebbero accolta, nello stupore generale di quanti – abituati perlopiù alle morti – hanno visto un miracolo in quel prepotente trionfo di vita. A dispetto d’ogni limitazione imposta da “decreti sicurezza” e altre finte cautele cha altro non sono che strumenti di emarginazione e discrimine.

Vorremmo invece non leggerne le altre storie – ahinoi invece più numerose – di chi all’abbraccio di morte del Mediterraneo non è riuscito a scampare, restando spesso senza un’identità: un numero, come in un nuovo olocausto, tra i tanti che riempiono le colonne delle statistiche.
Ma Loujin Ahmed Nasif un nome invece ce l’aveva ed anche un bellissimo viso di bimba che ancora sorrideva alla vita, nonostante nei suoi solo quattro anni d’esistenza avesse conosciuto solo la guerra, la miseria e la fuga.

A quel tragico elenco di mali mancavano solo la fame e la sete, che sono stati i nemici più spietati che infine l’hanno uccisa.

È morta così, la bimba siriana in fuga dal Libano su un peschereccio alla deriva da dieci giorni nel Mediterraneo, alle porte di casa nostra. Tra le braccia di sua madre, che a quello strazio senza fine non ha potuto opporsi, nemmeno a costo di immolare la propria, di vita.

Sarebbe bastato poco per salvarla, insieme agli altri 60 profughi che condividevano la stessa barca e la stessa disperata odissea.

Ma erano giorni in cui si era presi da altro: qualche stravagante campagna elettorale, il lutto per la morte della regina d'Inghilterra, la minaccia di leader sovietico divenuto più pericoloso perché ormai agonizzante.

E così, alla mancanza di cibo e acqua, si è aggiunta “la distrazione” di chi ha tardato a soccorrere, nonostante il barcone avesse già lanciato il suo SOS sia alle autorità delle zone SAR maltese e greca che aveva attraversato sia ai mercantili di passaggio.

Nessuna risposta.

Quando infine un mercantile inviato dalle autorità greche è arrivato a portare aiuto, per Loujin non ce n’era più bisogno. Se n’era andata, ennesima vittima innocente di politiche basate sull’astrattezza dei concetti piuttosto che sulla concretezza delle necessità e per le quali risulta dunque facile anteporre limiti e frontiere ove non si abbia pensiero e cura per le persone –vere - che andranno a sbatterci contro.
“Zone SAR”.

Si chiamano così (S.A.R. sta per “Search and Rescue”) quelle aree nelle quali il Paese di relativa competenza è tenuto a prestare soccorso in particolari situazioni di pericolo e ambienti ostili quali montagna, gole o mare.

E c’è un preciso obbligo degli Stati di garantire la sicurezza della vita umana in mare in virtù della loro adesione a tre Convenzioni internazionali: quella per la sicurezza della vita in mare (SOLAS - Safety of Life at Sea) del 1974; quella di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo, che disciplina appunto le cd. “zone SAR” adottata nel 1979; e quella delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982.

In Italia, a seguito del D.P.R. 662 del 1994 (che ha sancito l’adesione alla Convenzione di Amburgo) le operazioni SAR sono affidate al Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, congiuntamente ad un’articolata rete organizzativa (Aeronautica Militare, Guardia di Finanza, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico, oltre che alla Croce Rossa Italiana e ad altre organizzazioni di volontariato).

Il nostro Codice della Navigazione impone poi, all’art. 69, che «l’ autorità marittima, che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio o di altro sinistro, deve immediatamente provvedere al soccorso e, quando non abbia a disposizione né possa procurarsi i mezzi necessari, deve darne avviso alle altre autorità che possano utilmente intervenire»; e punisce inoltre, come reati, l’omissione di soccorso (art. 1113) per chiunque “richiesto dall’autorità competente, omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio” con la reclusione da uno a tre anni; e l’omissione di assistenza a navi o persone in pericolo (art. 1158) per “il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionali o stranieri, che omette di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’obbligo”.

Ma evidentemente si tratta di norme ormai troppo datate o persino dimenticate perché possano tenere ancora allerta le coscienze. Come se poi ci fosse davvero bisogno di precetti per intervenire quando sia necessario salvare vite umane!

Viceversa, si è più attenti a porre condizioni, a redarguire e respingere quelle frotte di poveri disperati che si avvicinino troppo a territori che rappresentino per loro miraggi di salvezza. C’è addirittura chi pretenderebbe un “blocco navale”, invocando così l’adattamento di una misura che è contemplata nientemeno che dal diritto bellico marittimo (e dunque nata come strumento di ostilità) per fermare gli arrivi di migranti.

Dovrebbe sorprendere che a sostenere una tale proposta possa essere qualcuno che ambirebbe a rivestire ruoli istituzionali per i quali il giuramento di tener fede alla nostra Costituzione resta una premessa sostanziale di buon agire. Una Costituzione che, tra i suoi principi fondamentali, contempla la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (il diritto alla vita, in primis) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà.

Basterebbe già soltanto ricordare questo, perché se una bimba di quattro anni muore tra le braccia di una madre impotente mentre implora «Mamma ho sete», è di certo anche colpa di chi pecca di memoria sui diritti. Oltre che di umanità.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

Potrebbe interessarti anche:

Quotidiano
24 giugno 2023

Commedia in due atti

Leggi l'articolo
Quotidiano
22 luglio 2023

Intanto, a Sfax…

Leggi l'articolo
Quotidiano
30 settembre 2023

Io capitano

Leggi l'articolo
Quotidiano
10 giugno 2023

Dal Dolore all'amore

Leggi l'articolo
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy