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Il voto giovane

Autore: Ester Annetta
Un sondaggio lanciato fra i giovani tra i 14 e i 30 anni d’età, tramite la piattaforma digitale indipendente U-Report Italia in occasione delle elezioni politiche appena tenutesi, ha fornito alcune preziose indicazioni sulle loro opinioni riguardo ai programmi elettorali e, prima ancora, sulle modalità attraverso cui si ne sono venuti a conoscenza.

Quasi la maggioranza (45,9%) ha dichiarato di essersi documentata pur avendo faticato a trovare informazioni chiare adatte ai giovani. All’estremo, l’11,7% dei rispondenti ha affermato di non essersi interessato a informarsi.

Tra gli strumenti impiegati a riguardo, i canali prevalenti sono risultati essere – com’è facilmente intuibile - internet e i social; a seguire, le indicazioni di un adulto di fiducia o di un coetaneo.

Un dato che tuttavia induce a riflettere è, più che la percentuale non trascurabile di “analfabeti politici” che hanno dichiarato il proprio disinteresse, quella di gran lunga superiore – ben il 69% - di coloro che hanno risposto di non aver fiducia nell'attuale classe politica italiana rispetto ai temi che stanno a cuore ai giovani, a fronte del solo 5,2% che ha dichiarato il contrario.

E c’è di più: se si pongono a confronto le due percentuali maggiori sopra riportate (quella degli “informati” e quella degli “sfiduciati”), ciò che può dedursi è che i programmi di partito su cui i giovani hanno provato a orientarsi, oltre a non essere facilmente intellegibili sono risultati, evidentemente, anche poco convincenti.

Ho voluto ricercare queste statistiche quando, leggendo della protesta degli studenti del Manzoni di Milano all’indomani del risultato elettorale, ho considerato la differenza tra la loro preoccupazione per la situazione in cui vedono calate le loro esistenze attuali e il loro futuro – crisi e disastri climatici, lavoro precario, sfruttamento mascherato da PCTO, politiche repressive temute dal nuovo governo – e l’atteggiamento del minore dei miei figli (ventenne, specchio di tanti altri suoi coetanei), che per tanta preoccupazione e consapevolezza non ha accennato alcun segno di condivisione.

A votare c’è andato (era la sua prima volta) ma senza avere minimamente idea di chi e cosa stesse andando a votare.

Eppure di idee ne aveva, ci eravamo confrontati qualche volta. Solo che – come tanti – si è trovato davanti al dilemma di non sapere dove collocarle, quale fosse (se c’era) l’entità politica che le rappresentasse tutte, avendo percepito – per quel tanto che gli era bastato a documentarsi - che l’ormai eccessiva frammentazione di partiti, nati come costole poi dissociate di altri, non rendeva possibile l’individuazione di una precisa identità.

Si è allora affidato al responso di quel diabolico algoritmo che, attraverso un’apposita funzione utilizzabile online, determina - sulla base delle spunte date scegliendo tra risposte preconfezionate a domande precostruite - quale dovrebbe essere l’area, e più nello specifico anche il partito, che racchiude approssimativamente il profilo che ne è risultato.

L’ho trovata una soluzione deprimente e, tuttavia, ho dovuto prendere atto della reale difficoltà che giovani scarsamente nutriti di politica e privi di efficace indirizzo possano avere nell’orientarsi tra le informazioni, soprattutto se non risultano lineari e dunque rincarano la dose di confusione.

Non so su quale simbolo mio figlio abbia infine deciso di apporre la sua croce e con quanta consapevolezza l’abbia fatto: è rimasto nella cabina elettorale – insieme a Frost, tenuto docilmente al guinzaglio - per un tempo abbastanza lungo, in cui, mentre aspettavo il mio turno nella fila delle donne (!!!), ho sperato che stesse compiendo la sua ultima e più attenta valutazione.

Stava invece elaborando un modo per comunicare, alla sua consueta maniera ironica, tutta la drammaticità di quella sua irrisolutezza, così comune a quella gran parte delle nuove generazioni che non occupando licei e non scendendo in piazza a manifestare, perché in fondo hanno già capito che a chi dovrebbe rappresentarle non stanno affatto a cuore le ragioni per cui varrebbe la pena battersi e protestare.

Così, sullo sfondo delle due schede di voto dispiegate sul banchetto della cabina elettorale ha scattato un primo piano a Frost, postandolo poco dopo con l’affilata didascalia: “quando il voto è per cani e porci.”

Ora il dado è tratto e chi governerà dovrà farlo davvero con la coscienza e la responsabilità richieste per rendere concreto e coerente l’impegno assunto. E senza peccare di presunzione, giacché la promessa di “cinque anni di stabilità”, senza alcuna retromarcia, inciampo, crisetta o questioncina di fiducia non è tra quelle che offrono certezza d’esser mantenute.

Occorre cautela. Soprattutto se la posta è riconquistare la fiducia dei giovani e restituire il senso ed il valore della democrazia a quell’altissima percentuale di cittadini che ha disertato le urne, dando un forte segnale di disillusione, rabbia e disaffezione nei confronti della politica.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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