20 marzo 2021

L’albero della vita

Autore: Ester Annetta
C’è un parco nei pressi di casa mia dove due o tre volte a settimana mi concedo una “camminata veloce”, un’ora d’attività basica, per contrastare l’anchilosi da scrivania.

Non è tra quelli più noti della capitale, né uno dei più vasti. È tuttavia un discreto e grazioso polmone verde scampato all’urbanizzazione una ventina d’anni fa, grazie alla tenacia degli abitanti del quartiere che si erano opposti all’intenzione della Società allora proprietaria di utilizzare l’area per la costruzione d’un centro commerciale. Era stata così ceduta al Comune in cambio d’altre aree ed affidata ad un ente dipendente dalla Regione addetto alla gestione delle riserve naturali.

Di fatto, però, è quella delle associazioni di volontariato l’azione meglio e più concretamente rivolta alla cura di questo spicchio di verde, che, nel tempo, ha progressivamente cambiato le sue sembianze, arricchendosi di percorsi e spazi attrezzati per lo sport, d’un’area giochi per bambini e di un’altra destinata ai cani, e si è abbellito d’una vegetazione varia e curata.

A inizio novembre mi è capitato d’assistere ad un rituale che, proprio ad opera d’una di quelle associazioni, si ripete da qualche anno: la messa a dimora di nuovi alberi, destinati a sostituire quelli che l’anno precedente non sono riusciti ad attecchire o sono stati rubati o abbattuti dalle intemperie.
Sono appena dei fuscelli, sottili e perlopiù spogli quando vengono collocati nel lembo del parco prescelto: il bordo del sentiero che traccia il perimetro più esterno o quello dei vialetti interni, oppure un piccolo slargo ancora incolto. S’assomigliano tutti, per via di quel comune, apparente, aspetto di esile arbusto senza forma né colori, riconoscibile solo grazie all’etichetta legata su un’estremità che ne riporta il nome scientifico e, a volte, una piccola foto di quello che sarà il suo aspetto adulto.

Eppure c’è qualcos’altro che li rende unici.

Ognuna di quelle giovani piante ha un vincolo d’adozione che la lega ad una persona: un bimbo o una bimba appena nati o qualcuno che non c’è più. Ne portano il nome impresso su una piccola targhetta di plastica attaccata ad un ramo, oppure hanno accanto, vicino alla radice, una targa di metallo su cui è incisa una breve specifica: “L’albero di….” o “In ricordo di….”.

Quella mattina di novembre un albero speciale aveva trovato la sua casa.
Non l’ho notato subito, finché ancora i volontari erano intenti a completare le operazioni di messa a dimora, ma solo un paio di giorni dopo, quando sono ritornata al parco.
Tra i sottili tre unici rami di quel giovane virgulto non c’era un’etichetta che ne indicasse la specie né la targhetta di plastica con un nome, come invece mostravano le altre pianticelle compagne anch’esse appena dimorate.
C’era invece un foglietto a quadretti bianco, di quaderno, sigillato in un involucro trasparente che avrebbe dovuto proteggerlo dalla pioggia. Le poche righe scritte a penna, con una grafia morbida e tonda, tipica d’una adolescente, dicevano:

L’albero di Maurizio
Tanti auguri papà! Ecco il mio regalo.
Ti regalo una vita che cresce, che ha radici, che respira.
Per chi ti conosce, sa quale significato ha proprio questo tipo di albero.
Lo curerò, lo coccolerò, lo manterrò in vita come il tuo ricordo. Ilaria”

Quanta bellezza c’era in quelle poche righe! Quanto amore, in quelle semplici parole.
Da quel giorno “L’albero di Maurizio” è diventato anche un po’ il mio.
Non osavo dedicargli cure: mi sarebbe sembrato di interferire in una relazione speciale, di profanare lo spazio sacro di quella zolla di terra in cui, dalle radici dell’albero del suo papà, Ilaria traeva la sua linfa vitale, la ragione di quelle cure che le davano forza per andare avanti, per crescere, anche senza di lui.

Ilaria volevo immaginarla così: un’adolescente cui un incomprensibile mossa del destino aveva sottratto una delle pedine più importanti dalla scacchiera della sua vita, lasciandola mutilata d’un affetto importante, d’un punto di riferimento, d’un complice e d’una guida.
Quella pianta, quella vita addormentata doveva essere il tramite, il legame tra il suo presente vivo e reale e un passato mantenuto in vita dalle cure e dal ricordo, perché attraverso il suo fiorire e sfiorire potesse accompagnare anche le stagioni della propria esistenza.

Col passare delle settimane la grafia di Ilaria ha cominciato a sbiadire, finché un giorno quel biglietto tra i rami è diventato un insignificante foglietto bianco. Sarà stata forse lei stessa a staccarlo un giorno, convinta infine che le sue parole non fossero state lavate via dalla pioggia e dal sole ma fossero state invece assorbite dal suo alberello, spinte giù fino alle radici e poi, ancora, sparse dentro ogni fibra per portare alimento e calore a quel fuscello che l’inverno manteneva ancora spoglio.

Quando è arrivato dicembre tra quei rami sottili sono comparsi dei piccoli fiocchetti di nastro rosso: Ilaria aveva voluto condividere col suo papa un po’ di quel colore e di quel tocco d’allegria che le feste non avevano più avuto da quando se n’era andato. E così “L’albero di Maurizio” era diventato il suo – il loro – albero di Natale, cui appendere ancora desideri e speranze, parole non più dette, pensieri inconfessati.

Da qualche giorno il cinguettio degli uccelli al mattino, i fiori rosa dell’albero di Giuda lungo i viali della città, il sole che irrompe nella stanza prima ancora che la sveglia suoni annunciano che la primavera è arrivata.
Così stamattina mi sono avvicinata al “mio” albero, per vedere se quell’annuncio gli fosse arrivato.
E su quei rami che avevano resistito al vento, al freddo e al gelo dell’inverno ho scorto piccole gemme verdi, brillanti alla luce del primo sole.

È più d’un miracolo della natura: è il miracolo stesso della vita, che incoraggia a resistere, ad aver fiducia, ad aspettare pazientemente, perché oltre ogni affanno, preoccupazione, dolore c’è una ricompensa, una luce, un tocco di colore a partire da cui ogni cosa può ricominciare.

È il muto messaggio d’amore con cui Maurizio ha risposto alle cure della sua Ilaria.
È la speranza d’una rinascita, cui la nuova stagione, in questo faticoso tempo, invita tutti noi.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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