21 marzo 2024

La scure della UE sugli allevamenti di polli e maiali

Gli impianti intensivi equiparati a quelli industriali per le emissioni di metano e ammoniaca. Si salvano in extremis gli allevamenti bovini

Autore: Germano Longo
Secondo dati recenti, solo in Italia gli allevamenti intensivi producono il 75% delle emissioni di ammoniaca, a cui aggiungere ossido di azoto, mercurio, metano e biossido di carbonio: significa 30 milioni di tonnellate di CO2, con il secondo posto sul podio per polveri sottili dopo il riscaldamento.

Motivi che hanno spinto la Plenaria dell’Eurocamera ad approvare la revisione della “IED”, la direttiva sulle emissioni industriali, strumento nato per monitorare l’inquinamento prodotti dagli allevamenti intensivi e impianti industriali. La direttiva colpisce i grandi allevamenti di suini e pollame, ma rispetto al testo originario, grazie ad emendamento inserito in extremis, esclude quelli bovini per via delle pressioni italiane per un generico periodo di “tempo significativo” che lascia spazio a interpretazioni diverse. La Commissione si è data tempo fino al 31 dicembre 2026 per intervenire anche sulle emissioni degli allevamenti di bestiame e bovini, con l’introduzione di una “clausola di reciprocità” che garantisca anche ai produttori dei Paesi terzi che esportano verso il mercato comunitario l’obbligo di soddisfare requisiti simili alle norme UE.

La scure obbliga i settori interessati a fissare livelli di emissioni nocive molto più stringenti rispetto a quelli attuali, mentre per combattere la scarsità d’acqua saranno fissati obiettivi obbligatori sul consumo. Un intervallo di valori fisserà anche obiettivi vincolanti per rifiuti, efficienza delle risorse, efficienza energetica e uso delle materie prime, mentre gli stessi saranno “indicativi” per l’utilizzo di nuove tecniche per ridurre le emissioni. La direttiva tocca anche gli impianti dell’industria estrattiva le “gigafactory” che producono batterie soprattutto per l’industria automobilistica.

Ma come accennato, la nuova direttiva colpisce soprattutto il settore della zootecnia, in particolare gli allevamenti di suini con più di 350 unità di bestiame (circa 1200 maiali). Per il settore avicolo la direttiva si applica alle aziende con galline da uova superiore alle 300 unità (più di 2100 galline), e alle aziende con polli da carne con oltre 280 unità (40mila polli di tipo broiler): per le aziende che allevano suini e pollame, il limite sarà di 380 unità complessive.

Fra le novità volute dall’Europa anche un’operazione “trasparenza”, con la sostituzione del registro UE sulle emissioni inquinanti con un Portale che riporti i dati e le attività delle aziende accessibile a tutti i cittadini europei.

Pesanti le sanzioni per le aziende che non si adegueranno alla direttiva, che rischiano penali pari al 3% del fatturato annuo interno UE, con la possibilità per i cittadini danneggiati di chiedere risarcimenti per danni alla salute, sulla base delle norme stabilite da ciascuno Stato.

A Strasburgo, in attesa degli esiti della Plenaria, era presente anche una delegazione di Confagricoltura, che poco dopo ha diffuso una nota: “Finora erano soggetti all’Aia solo due tipi di allevamento: quelli di pollame con potenzialità produttiva massima superiore a 40mila posti e quelli di suini con potenzialità produttiva massima superiore a 2mila posti da produzione (di oltre 30 kg) o 750 posti scrofe. Quando entrerà in vigore la direttiva appena approvata, le soglie per essere obbligati a richiedere l’autorizzazione integrata ambientale verranno quasi dimezzate. Il risultato è un ulteriore carico burocratico per le nostre imprese agricole le quali, invece, chiedono da tempo uno snellimento degli impegni amministrativi che frenano la produttività. Gli agricoltori sono i primi custodi della natura ma con queste modalità si ostacola la loro competitività e capacità di impresa, senza benefici per la tutela ambientale”.

Dalle parole del presidente Ettore Prandini, altrettanto delusa si dice Coldiretti: “Il voto sulla direttiva emissioni industriali, l’Unione Europea ha perso l’ennesima occasione di invertire la rotta, abbandonando le follie di un estremismo green che rischia di far chiudere migliaia di allevamenti, stretti tra una burocrazia sempre più asfissiante e la concorrenza sleale dell’estero”.
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