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Un attimo prima il silenzio è di piombo.
La tensione è tale da essere quasi palpabile, solida, come solidi – marmorei quasi – sembrano essere i muscoli di quelle piccole gambe che non riescono a restare ferme, vibrando ritmicamente come attraversate da una scossa elettrica.
Poi, uno scatto improvviso innesca la partenza; la rincorsa, dapprima lenta e misurata, aumenta gradualmente nel breve spazio di pochi metri, trasformandosi di lì a poco in un salto e poi in un volteggio, una torsione, un giro, una capriola…
È una sequenza unica, magnifica, composta di movimenti ravvicinati, fitti e tuttavia fluidi ed eleganti, tanto precisi che, pur nella loro complessità, si traducono in leggerezza, sfidando e contraddicendo quasi la forza di gravità.
Occupano solo una manciata di secondi, ma la loro perfezione e la loro docilità incredibilmente sembrano trasformare la velocità dell’esecuzione in una scansione dettagliata di movimenti, scandendoli, stirandoli, sgranandoli come al rallenty.
Infine lo spazio di volo finisce; lo straordinario dinamismo aereo cessa e i piccoli piedi, perfettamente paralleli, toccano terra, vi si piantano letteralmente, senza la minima perdita d’equilibrio, senza inciampi, senza sbavature. Un colpo secco sul materasso, che affonda lievemente, come se quel corpo minuto che vi è appena atterrato fosse una lancia che, saldamente conficcata nel bersaglio, svetta fiera senza vacillare.
Ancora un attimo e poi il silenzio si rompe. Abbracci, applausi, acclamazioni, urla di gioia.
Simone ce l’ha fatta.
Col suo metro e quarantatré di altezza, i suoi quarantanove chili di peso ed i suoi ventidue anni appena è già diventata leggenda.
Sorride, Simone, ed i suoi occhi scuri e profondi brillano. È felice, forse stupita, ma fiera di sé, dalla sua tenacia, della sua forza, della sua volontà. Deve a tutto questo il traguardo di quelle venticinque medaglie (le ultime due delle quali appena conquistate alla trave e al corpo libero nell’ultima giornata di gare ai Campionati del Mondo di ginnastica artistica di Stoccarda) e la soddisfazione d’aver eguagliato e poi superato un altro mito, Vitaly Sherbo.
Se lo merita tutto quel trionfo, perché Simone Arianne Biles, classe 1994, ginnasta americana ha impegnato tutta la sua vita per arrivare sin qui, affrontando talmente tante difficoltà che, alla fine, ne è stata temprata, riuscendo a raddrizzare un cammino che avrebbe ben potuto portarla altrove ed a trasformare la sua resilienza nella sua vittoria.
Nei suoi ventidue anni, Simone, di salti mortali ne ha fatti tanti, anche fuori dalla palestra: ad appena tre anni ha dovuto lasciare la sua casa e un padre ed una madre con problemi d’alcol e di droga, andando a vivere con i nonni; ha dovuto combattere con un disturbo dell’attenzione e, più tardi, fronteggiare le accuse di doping da parte di hacker russi che avevano omesso di segnalare le autorizzazioni mediche che le occorrevano per assumere i farmaci necessari a curare quel disturbo; ha subito le molestie di Larry Nassar, il medico della nazionale condannato a 175 anni di carcere per aver abusato di oltre 150 atlete, molte delle quali minorenni.
Ma non si è mai abbattuta, Simone, mai si è piegata; è sempre tornata in pedana, ogni volta più forte e motivata di prima.
La volta che ebbe un infortunio al polpaccio è addirittura tornata sul tappeto con un esercizio a corpo libero da lei inventato: "the Biles", un doppio salto mortale con un mezzo avvitamento in aria, reso particolarmente complesso dalla velocità d’esecuzione con viene realizzato. Molte atlete hanno provato ad imitarlo, ma nessuna ci è mai riuscita davvero.
A vederla così piccola e minuta, chi mai penserebbe che sia un tale concentrato di forza ed energia! E invece Simone, una delle più piccole atlete al mondo, ha dimostrato di essere immensa: nel suo impegno, nella sua dedizione, nella sua volontà, nei suoi successi.
Segno che, per essere grandi, è un’altra statura quella che davvero conta.