30 gennaio 2024

Lo smart working e la desertificazione degli uffici

L’avvento del lavoro da remoto ha messo in moto una crisi immobiliare che sta attraversando il mondo intero: centinaia di palazzi che ospitavano uffici direzionali sono in vendita, in affitto o vuoti e in attesa di soluzioni

Autore: Germano Longo
Se è vero che lo smart working è forse l’unico lascito positivo della pandemia, è altrettanto vero che avere più dipendenti a casa significa spopolare gli uffici. Ma un conto è quando succede per via di un DPCM che obbliga tutti a stare chiusi e aspettare giorni migliori, un altro quando la gente ha imparato che a casa propria - accidenti - si sta meglio e si diventa perfino più efficienti. Uno scenario che crea strati diversi di problemi da risolvere, primo fra tutti una decisa flessione degli investimenti immobiliari valutata da “CBRE” (Commercial Real Estate Services) nel -74% in tutta Europa.

In pratica, per essere ancora più chiari, là dove un tempo i colossi bancari-economici-finanziari facevano a sportellate per assicurarsi sedi ampie, prestigiose e centrali, ora fanno a gara per liberarsene.

A Milano, dove le zone degli uffici direzionali costellano di grattacieli la “skyline” meneghina, il gruppo bancario UniCredit non sa più che farsene di 20 piani di uffici affacciati sulla prestigiosa piazza Gae Aulenti, così come accade alla sede milanese della Deutsche Bank, dove qualcuno ha calcolato che il 40% della superficie è ormai disabitata e quindi del tutto inutile. Per finire con BNP, che ha deciso di affittare due piani assai ampi della propria sede.

Ancora prima di Milano, nel 2020, era stata la San Francisco Bay Area a sperimentare fra le prime zone al mondo l’effetto collaterale alla pandemia, convincendo migliaia di dipendenti delle aziende della Silicon Valley ad approfittarne dello smart working per spostarsi in zone dove gli affitti sono meno esosi. E sulla sponda opposta, a New York, le cose non è vadano molto meglio: il 50% degli uffici strapieni di dipendenti prima della pandemia oggi sono semideserti, per un totale stimato in sette milioni di metri quadri vuoti e che nessuno vuole più.

Una tendenza alla fuga raccontata anche da un’inchiesta del “Wall Street Journal” che bacchettava in modo pesante palazzinari e immobiliaristi americani, prima contenti e felici di vedere i prezzi degli immobili, in vendita o in affitto, triplicarsi fino a sfiorare cifre vicine all’oscenità pura, e oggi piangono miseria, lamentando poco lavoro, molta disponibilità e nessuna richiesta. A fare i conti in tasca alla categoria si era aggiunto un rapporto del “McKinsey Global Institute”, secondo cui l’avvento dello smart working avrebbe rischiato di cancellare 800 miliardi di dollari dal valore degli immobili.

A conforto del processo di desertificazione lavorativa si aggiunge un report dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, che certifica “Un ripensamento degli spazi dovuto alle nuove logiche lavorative avviato nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle Pubbliche Amministrazioni”. In particolare, il 52% delle grandi organizzazioni, il 30% delle PMI e il 25% della PA si è già mossa per adattare gli ambienti, e sono prossime a fare lo stesso - rispettivamente - il 26, il 21 e il 14% delle tre categorie appena citate.

Quello che emerge, secondo l’approccio “ABW” (Activity Based Working) studiato dal consulente olandese Erik Veldhoen, è un nuovo concetto di “smart office”, ovvero un luogo con precise caratteristiche strutturali e spaziali, arredi e tecnologiche in grado di accompagnare la nuova filosofia dei processi di lavoro. In pratica, visto che il lavoro ibrido disperde inevitabilmente sinergie e scambi di esperienza che sono propri del contatto diretto, l’ufficio dovrà essere impostato per sfruttare al massimo i momenti e le occasioni di contatto e al tempo stesso per ribadire il senso di appartenenza aziendale anche e soprattutto fra i dipendenti che passano buona parte del tempo lavorativo lontani dalla sede.

Ma resta a mezz’aria un problema da risolvere: che farsene di interi palazzoni rimasti vuoti? Secondo il “National Bureau of Economic Research” americano, l’occasione potrebbe essere utile per dare sollievo alla crisi abitativa e al caro affitti che nelle grandi città si fa sentire in modo pesante. Nei soli Stati Uniti, il “NBER” ha censito più di 2mila complessi dirigenziali che potrebbero essere tranquillamente convertiti in soluzioni abitative economiche ed ecologiche.
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