Una interessante sentenza della Cassazione Penale – la n. 7552/2021 del 10 marzo scorso, depositata il 9 maggio – ha fornito un chiarimento circa la validità, ai fini probatori, degli SMS e dei messaggi WhatsApp riprodotti in foto e utilizzati in un processo penale.
La vicenda da cui è scaturita detta pronuncia riguarda il caso di un uomo ritenuto responsabile per i reati di cui all'art 424 c.p comma 1 (danneggiamento seguito da incendio) e 612 bis commi 1 e 2 (atti persecutori) ai danni della ex compagna – costituitasi parte civile in giudizio -, per averle incendiato l’auto e messo in atto una serie di atti persecutori protrattisi per alcuni mesi.
Già condannato in primo grado, l’uomo era stato nuovamente riconosciuto colpevole dalla Corte d’Appello di Trieste che, nello specifico, aveva ritenuto autentici gli sms prodotti in foto dalla donna – che aveva affermato esserle stati inviati dall’imputato il quale, peraltro, ne aveva confermato il contenuto in sede d'interrogatorio – ed aveva inoltre ritenuto che la registrazione delle telefonate ricevute dalla stessa da parte del suo ex compagno erano state fatte non per precostituirsi una prova, ma solo per attestare le promesse dell'uomo di voler ricostruire il loro rapporto sentimentale. Da tali registrazioni era emersa anche la minaccia dell'imputato di voler dare fuoco all'auto della donna, cosa di fatto davvero accaduta, come provato anche da alcuni messaggi inviati dal medesimo la sera stessa dell'evento.
La Corte d’Appello aveva inoltre rilevato il perpetrarsi – nei mesi precedenti l’incendio dell’auto - di atti persecutori commessi dall'imputato nei confronti della ex compagna (e culminati, come dal medesimo ammesso, con la rottura di un fanale dell’auto di lei) tanto da ingenerarle un comprensibile e conseguente stato di ansia e timore per cui, seppur temporaneamente, la stessa aveva cambiato le proprie abitudini di vita.
Contro la pronuncia d’appello l’imputato aveva, dunque, proposto ricorso in Cassazione, fondandosi su tre ordini di motivi:
- con il primo aveva contestato il rigetto della richiesta di procedere ad accertamenti tecnici finalizzati a dimostrare l'autenticità dei messaggi telefonici prodotti dalla ex compagna in forma fotografica, richiamando a riguardo una precedente pronuncia della stessa Corte (n. 49016/2017) che aveva ritenuto non consentita tale modalità;
- con il secondo aveva contestato la persuasività delle prove relative al reato di danneggiamento seguito da incendio, ritendendo non credibile la circostanza che la donna avesse tolto dalla vettura i documenti proprio prima del fatto, né attendibile la propria confessione stragiudiziale, registrata dalla ex compagna;
- con il terzo aveva, infine, lamentato la violazione di legge in ordine alla mancata riqualificazione della condotta contestatagli ai sensi dell’art. 612 bis c.p. (atti persecutori) nella più attinente fattispecie di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone).
La Cassazione, con la sentenza sopra menzionata, ritenendo il ricorso inammissibile, lo ha rigettato per le seguenti ragioni:
- • in ordine al primo motivo di doglianza, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza avendo già avuto modo di precisare (come si accennava all’inizio) che i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un cellulare devono considerarsi documenti ai sensi dell'art 234 c.p.p. (che, testualmente, al primo comma prevede: “È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”). Pertanto, è legittima la loro acquisizione mediante riproduzione fotografica, non trovando applicazione la disciplina delle intercettazioni né quella che regola l'acquisizione della corrispondenza ai sensi dell'art. 254 c.p.p. (sequestro di corrispondenza).
Per la Suprema Corte non si versa, infatti, in un caso di captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ma della documentazione a posteriori dei medesimi. Tali conclusioni non vengono smentite dalla sentenza richiamata dall'imputato nel ricorso, poiché quest’ultima era intervenuta per risolvere una questione diversa: la legittimità del provvedimento con cui il giudice di merito aveva rigettato l’istanza di acquisizione della trascrizione di conversazioni effettuate via watshapp e registrate da uno degli interlocutori - considerando la sua utilizzabilità condizionata all’acquisizione del supporto telematico che li conteneva – avendo in quel caso il giudice di merito considerato tale ulteriore verifica necessaria per valutare, compiutamente, l’attendibilità dei messaggi prodotti.
Inoltre, nel caso di specie, lo stesso imputato ha ammesso l'autenticità dei messaggi;
- inammissibile anche il secondo motivo del ricorso poiché la Corte d’Appello aveva osservato che le minacce fatte dall’imputato si sono poi tradotte nell'incendio effettivo dell'auto della ex compagna e con l'invio di numerosi messaggi dal contenuto inequivocabile;
- quanto al terzo motivo, anch’esso è stato ritenuto inammissibile, rilevato che lo stato di ansia e di timore riferiti dalla donna - più che fondati, alla luce della grave condotta tenuta dall'imputato - e il mutamento delle sue abitudini di vita, anche se per un periodo transitorio, costituiscono di per sé dimostrazione del corretto inquadramento della condotta dell’ex compagno nel reato di atti persecutori.
Confermata dunque la condanna dell’imputato oltre che all’ammenda prevista anche al risarcimento del danno nei confronti della ex compagna, nonchè alla refusione delle spese di giudizio dalla medesima sostenute.