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Un vaccino per la memoria

Autore: Ester Annetta
Finché ce ne sarà ancora in vita qualcuno, la memoria potrà perpetuarsi, mantenendo a sua volta in vita la storia; finché i loro racconti varranno da insegnamento e avranno l’efficacia di far superare resistenze, incredulità, indifferenza, saranno possibili strumenti di pace e di redenzione, oltre che argomenti inappellabili per scettici e negazionisti: sono i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti, pochi ormai.

Sono i nostri padri, i nonni delle nuove generazioni, che non raccontano ai ragazzi fiabe e saghe avventurose, ma crude verità, testimonianze di vite singole che, nella loro unicità, rivelano molto di più - molto più profondamente e umanamente - ciò che la storia, incentrata sui grandi eventi, non può narrare.

Aushwitz, Birkenau e tutti gli altri campi di concentramento e di sterminio ovunque sparsi sono luoghi di non ritorno, dove milioni di vite hanno concluso il loro ciclo, consumate dalla fame e dagli stenti o ridotti in polvere e sbriciolati nel vento. L’esistenza fisica di quei luoghi continuerà a restare nota a tutte le generazioni future, ma il racconto personale e diretto dei testimoni che c’erano e che sono riusciti a tornare è un dono prezioso, che i nostri figli sono ormai gli ultimi ad aver il privilegio di poter ancora ascoltare dalle loro stesse voci.

Comune è stata la loro sorte, numeri tra numeri in quei luoghi maledetti. Ma diversa e, a modo suo, “ricca” è stata l’esperienza di ciascuno: il suo sentire, il suo resistere, il caso o la fortuna che gli ha concesso di rimanere in vita, affinché potesse diventare, a distanza di tempo, memoria viva, voce, simbolo d’una tragedia che non dovrà più ripetersi.

“Per questo ho deciso di andare in giro per le scuole: perché spero che la mia testimonianza serva alle nuove generazioni; sono qui, perché il caso ha voluto che ci fossi, che mi salvassi, e dunque sono qui per trasmettere alle nuove generazioni che quello che hanno visto i miei occhi né loro né i loro figli dovranno mai vederlo. E mi auguro che le nuove generazioni facciano la loro parte.” Così diceva in un’intervista di qualche tempo fa Sami Modiano, classe 1930, che nel 1944 venne deportato da Rodi ad Aushwitz insieme a suo padre e a sua sorella che, invece, non ebbero dalla loro nessun “caso” e nessuna “fortuna” a concedergli un ritorno. “Tieni duro, Sami! Tu ce la devi fare!”, erano state le ultime parole di suo padre, prima che fosse mandato a morire.

Perciò, dal 2005 Sami, che oggi vive a Roma, ha cominciato ad accompagnare gli studenti ad Auschwitz, perché possano vedere e toccare con mano le tracce indelebili lasciate dalla Shoah, consegnando alle loro conoscenza e coscienza il racconto di una fanciullezza improvvisamente stravolta dall’orrore, cominciato in un giorno del 1938 quando venne espulso da scuola perché ebreo: «Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo».

Più volte, suole ripetere Sami, che la morte gli è passata accanto senza però portarselo via, come quando, già in fila con altri 30 silenziosi e rassegnati ragazzi davanti all’ingresso della camera a gas, giunse la richiesta di mandare mani a scaricare un carico di patate appena arrivato con un treno. Alla fine del lavoro, quei trenta che già indossavano il tristemente noto “pigiama a righe” vennero rimandati nei dormitori e toccò ad altrettanti, appena arrivati con quello stesso treno e ancora vestiti con abiti civili, di prenderne il posto nella camera a gas.
Si è chiesto spesso perché a lui sia toccato di sopravvivere e si è detto che fosse per mettere a servizio degli altri e della memoria quel dono che Dio gli ha concesso e al quale ha reso la promessa di testimoniare, finché ne avrà forza.

Mercoledì prossimo sarà il Giorno della Memoria, e sarà forse più che mai un giorno simbolico, anche diversamente evocativo, per via d’una sorta di tragico parallelismo, d’un diverso “ricorso storico”, in cui alla memoria dell’olocausto si affiancherà quella, attualissima, di un altro “sterminio”, di altre file di morti e di altri negazionismi.

Sami, qualche giorno fa, ha fatto il vaccino anti-Covid.
Dopo tutto quello che ha passato, non l’ha fatto certo perché abbia paura di morire né, a 90 anni suonati, perché abbia ancora una grande aspettativa di vita.
Ma gli importa, come ha promesso, di poter continuare a mantenere viva la memoria, quella con la M maiuscola, e non per una “Giornata” soltanto, ma per tutto il tempo che ancora gli resta.


Io chiedo come può un uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento

(Francesco Guccini - Auschwitz, Canzone del bambino nel vento)

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