9 gennaio 2021

Vita nuova

Autore: Ester Annetta
Il 2020 ha infine terminato i suoi giorni, lunghi, scoloriti, solitari.

Tranne una manciata di settimane, a inizio anno, in cui il corso delle cose e la quotidiana normalità hanno riavviato l’esistenza di ognuno senza, di fatto, marcare alcuna soluzione di continuità con la scansione di ritmi, tempi ed abitudini dell’anno precedente, il seguito è stato un susseguirsi di incognite, attesa, paura, dolore.

Nessuno avrebbe creduto mai che il consueto e banale proverbio “Anno nuovo, vita nuova”, ripetuto ogni Capodanno come un ritornello senza reale intenzione, per una volta sarebbe stato veritiero. A modo suo.

Parole nuove, gesti nuovi, strumenti nuovi: il nostro lessico, le nostre abitudini, il nostro lavoro sono stati alterati in risposta ad appelli dettati da necessità e cautela; la normalità è stata sopraffatta dalla prudenza imposta da regole e divieti; le relazioni umane hanno subito la censura della distanza.

D’improvviso ci siamo trovati prigionieri di una realtà zeppa di limiti e confini, chiusi negli spazi angusti di monolocali o in quelli un po’ più ampi di case più comode, ma comunque soli.

Il tempo, sempre tiranno, sempre ridotto dall’affanno e dalla velocità, ha improvvisamente rallentato il suo corso, trasformandosi nella palestra in cui i pensieri – liberi, per contrasto a quella costrizione – hanno riscattato il loro spazio dalla fretta e dall’indifferenza.

Così, nel silenzio delle città deserte, nella solitudine imposta da distanze che non avevamo scelto, nell’artifizio di dialoghi filtrati da strumenti tecnologici di cui non eravamo più padroni ma sudditi, nelle immagini spietate di ospedali e bare che ci rendevano il senso pieno della nostra impotenza e della paura, abbiamo lentamente recuperato la nostra umanità, imparato la condivisione, compreso la differenza tra superfluo e necessario, espresso il proposito di restare le persone migliori che credevamo d’essere diventate.

Poi, però, l’estate ci ha teso il suo tranello: la leggerezza di una stagione che sembrava averci restituito la normalità perduta ci ha fatto accantonare ogni cautela, rendendoci affamati di quella vita che c’era mancata, di quei contatti che ci erano stati negati, di quell’allegria che il dolore aveva soppresso. Dimentichi d’ogni buon proposito, neppure l’abbiamo testata la realtà del nostro essere diventati migliori: indifferenza, egoismo, irriverenza, spavalderia hanno guidato un’illogica riscossa che ben presto si è mutata in una nuova sconfitta.

È stato allora che, sebbene stanchi di quelle privazioni nuovamente imposte, sopraffatti dall’angoscia d’un ulteriore attacco d’un nemico non ancora sconfitto, abbiamo davvero capito, recuperando la lezione appresa e troppo in fretta dimenticata: quella che l’esistenza può viversi solo nel rispetto dei nostri simili; che gioire alla vita vuol dire saper apprezzare ciò che possediamo e averne cura; che la bellezza è in ciò che abbiamo a portata di mano – le relazioni, l’amicizia, l’amore – e non negli idoli e nei falsi miti; che la solidarietà è il terreno su cui anche le battaglie più difficili possono risolversi in vittoria.

Se il 2020 ci ha insegnato tutto questo, rendendoci più umani, forse non è proprio tutto da dimenticare.

Perciò, stavolta, “Anno nuovo, vita nuova” non sia un augurio scontato, non sia un proposito fallace destinato a procrastinarsi ed infine a naufragare.

Sia invece un desiderio autentico, collettivo, una manifestazione di fiducia nei riguardi d’un futuro prossimo che riporti ad un’esistenza quanto più possibile vicino alla normalità; una dichiarazione d’amore per la vita e per le relazioni con i nostri simili; una speranza per un mondo rinato, in cui non sia più bandita la vicinanza dei corpi e l’anima resti limpida.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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