Roma, 20 maggio 2019 – “La riforma della Legge fallimentare è stato il frutto di un serrato confronto tecnico durato anni, che ha individuato nell’introduzione delle misure d’allerta uno dei cardini del nuovo codice della crisi d’impresa, assegnando giustamente ai controlli la funzione determinante di prevenzione dei rischi, per una emersione tempestiva della crisi. Sono ora in campo su questa materia diversi emendamenti al decreto crescita, uno dei quali, alzando oltremisura i parametri di attivo, ricavi e dipendenti superati i quali scatta il vincolo di previsione del sindaco o del revisore, produrrebbe il sicuro effetto di ridimensionare in maniera sostanziale l’adozione del controllo interno. Ci troveremmo di fronte al paradossale svuotamento di fatto della previsione più innovativa della riforma, quale l’introduzione delle misure di allerta e dunque allo snaturamento di una riforma peraltro di recentissima approvazione”. E’ quanto afferma il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani, in riferimento ad un emendamento dell’Onorevole Comaroli che prevede l’innalzamento dei parametri oltre i quali è previsto il ricorso ai controlli interni a 6 milioni di totale dell’attivo dello stato patrimoniale (dagli attuali 2), 12 milioni di ricavi (dagli attuali 2) e 50 dipendenti (dagli attuali 10).
“Se si vuole dare risposta alla preoccupazione relativa ai costi che le società dovranno sostenere per i controlli interni – prosegue Miani – ci sembra molto più equilibrata la soluzione prospettata dall’emendamento a firma Gusmeroli, Andreuzza, Bordonali, Binelli, Dara, Cavandoli, Covolo, Ferrari, Gerardi, Pagano, Paternoster e Tarantino che fissa le soglie per l’introduzione di sindaco o revisore a 4 milioni di attivo, 4 milioni di ricavi e 20 dipendenti. Potrebbe essere questa una soluzione di compromesso accettabile, che tiene conto dei timori presenti tra le imprese tutelando al contempo ratio e finalità di una riforma storica”.
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