29 settembre 2018

Osservazioni CNDCEC a linee guida ANBSC su incarichi e compensi

Autore: Pietro Mosella
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) ha stilato un documento in cui sono contenute delle osservazioni alla bozza di linea guida dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) concernente il “conferimento degli incarichi e la determinazione dei compensi da liquidare ai coadiutori dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata nominati ai sensi dell’art. 38, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
La suddetta bozza, infatti, è stata approvata in via preliminare dal Consiglio direttivo dell’ANBSC il 5 giugno 2018.
Le osservazioni del CNDCEC, scaturiscono dalla consultazione pubblica che, la stessa ANBSC, ha previsto al fine di acquisire osservazioni e suggerimenti da parte dei soggetti direttamente destinatari delle misure ivi specificate, per poi giungere alla definizione di un testo quanto più corretto e condiviso. Solo al termine della consultazione pubblica, il Consiglio direttivo dell’Agenzia, approverà in via definitiva le suddette linee guida, previa eventuale modificazione dell’attuale testo.

Le osservazioni del CNDCEC – I commercialisti, nel documento in commento, partono da un’analisi del quadro normativo, affermando di essere favorevoli alla scelta dell’ANBSC di applicare, per la liquidazione del compenso del proprio coadiutore, le disposizioni recate dal D.P.R. n. 177/2015, “superando così le arcaiche tabelle di liquidazione dei compensi elaborate dal Tribunale di Reggio Calabria, sez. M.P”.
Secondo i commercialisti, inoltre, sarebbe opportuno che, l’ANBSC, recepisca, le recenti inderogabili disposizioni di rango primario – come tali sovraordinate alla disciplina regolamentare del citato D.P.R. n. 177/15 – di cui alla Legge 4 dicembre 2017, n. 172, di conversione del decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018 in materia di c.d. “equo compenso”.
Sussistono – secondo quanto si osserva nel documento - i requisiti riguardanti l’appartenenza del prestatore alla categoria libero professionale e di una relazione professionale disciplinata da una convenzione predisposta unilateralmente da un cliente (c.d. forte) e regolamentante lo svolgimento (compresa la forma associata ovvero societaria), dell'attività professionale in favore del medesimo.
In virtù di ciò, “sussistendo nell’ipotesi di conferimento dell’incarico al coadiutore dell’ANBSC, tutti i presupposti sopra richiamati – si afferma - l’inottemperanza dell’Agenzia alle disposizioni in materia di “equo compenso”, potrebbe essere sottoposta al vaglio dell’Autorità Giudiziaria”.
Pertanto, i commercialisti, auspicano che l’ANBSC, anche per scongiurare probabili profili di responsabilità erariale, rivisiti la linea guida in argomento, adottando un proprio tariffario per i coadiutori che recepisca anche i principi della nuova normativa sull'equo compenso, rinviando, per l'effetto, al D.P.R. n. 177/2015 senza applicare le riduzioni.

Ci si sofferma, poi, sulla determinazione del compenso base e, analizzando le linee guida sul tema, il CNDCEC osserva che, la riduzione del compenso spettante al coadiutore dell'ANBSC, non appare ottemperante alle richiamate disposizioni in materia di equo compenso, né giustificabile a cagione del prospettato binomio “minore complessità di gestione/diverso grado di responsabilità che grava sul coadiutore”.
Ancora, l'analisi del contesto, consente di affermare che, “con il subentro dell'ANBSC nell'amministrazione diretta (e nella successiva fase c.d. amministrativa), la gestione dei beni da parte del coadiutore, lungi dall'alleggerirsi, viene aggravata dalle lunghissime tempistiche di risposta della medesima ANBSC alle istanze formulate dai coadiutori che incidono inevitabilmente anche sull'efficacia e sull'efficienza dell'azione del coadiutore”.
I commercialisti osservano, altresì, che l’ANBSC non ha tenuto in alcun conto degli incarichi relativi a quelle procedure che, in virtù dell’articolo 38, comma 8, CAM anteriforma, sono state acquisite in amministrazione giudiziaria a seguito della confisca di 1° grado, così come, perplessità si esprimono in merito alla scelta dell’ANBSC di non far rientrare nella c.d. “gestione diretta”, i casi di dissociazione tra la figura di coadiutore dell’Agenzia e di amministratore civilistico dell’azienda oggetto di ablazione.
Spiegando il perché di queste perplessità, si osserva, inoltre, che, l’attività di coadiutore, è ben diversa da quella di legale rappresentante della società (che comporta, peraltro, gravose responsabilità proprie degli organi gestori sociali) e, ove riunite tali attività su uno stesso soggetto, dovrebbero comunque essere remunerate entrambe e separatamente, come previsto dallo D.P.R. 177/2015, all’articolo 6.

In merito al parametro temporale, nel documento, sono espresse altre perplessità sulla scelta operativa adottata dall’ANBSC per la determinazione del compenso base. “In effetti – si legge -, disancorare il compenso base del coadiutore ad uno specifico parametro temporale, oltre ad apparire non in linea con la sollecitazione contenuta nel parere del Consiglio di Stato di cui è menzione nella relazione illustrativa al citato D.P.R., parrebbe non tener conto del ritardo ‘strutturale’ dell'ANBSC nel riscontrare le istanze del coadiutore, ritardo che di fatto ricadrebbe di tal guisa sul nominato professionista”.

Relativamente al criterio di stima dei beni aziendali, l’ANBSC precisa che “la stima del valore dell’azienda dovrà essere realizzata utilizzando il metodo aziendalistico denominato “Misto patrimoniale – reddituale”. In particolare, dovranno essere eliminate, tra l’altro, le cosiddette partite contabili tra società appartenenti alla medesima procedura di confisca (ad. es. rapporti di credito/ debito)”.
Secondo i commercialisti, detta precisazione, dev’essere emendata in quanto obbliga il coadiutore ad effettuare una valutazione adottando un metodo che, ragionevolmente, potrebbe essere inadeguato per l’azienda da stimare.
Al termine di un’analisi dei temi suddetti, quindi, il CNDCEC propone, per l’effetto, di ricorrere ai criteri di stima adottati per i specifici settori in cui l’azienda opera e, oltre a ciò, ritiene inconferente l’ulteriore previsione relativa alla determinazione della PFN (Posizione Finanziaria Netta, data da debiti e crediti aziendali “infra” gruppo di fatto).
Il documento, sottolinea anche che, l’individuazione del valore del “bene costituito in azienda” (come recita puntualmente l’art. 8, comma 2, punto a), del D. Lgs n. 14/2010), dovrebbe essere frutto di una attenta analisi tecnico-giuridica e finanziaria e, a tal proposito, si afferma quanto segue:
  • dovrebbe essere, idealmente, il risultato di un uno specifico lavoro peritale, svolto da e/o con l’ausilio di un soggetto terzo “esperto” (cfr. articolo 60 CAM), rispetto agli amministratori giudiziari (onde evitare possibili censure da “conflitto di interessi”), ovvero il prodotto di una attenta, ponderata e prudente analisi finalizzata specificamente all’individuazione di tale grandezza, facendo emergere tutti i “plusvalori” (quale l’avviamento aziendale), così come eventuali “passività” latenti;
  • dovrebbe essere epurata dalle debitorie che insistono sull’impresa attratta al sequestro, in quanto, le stesse (nell’ambito dei procedimenti di misure di prevenzione e di procedimenti penali finalizzati alla confisca alle stesse oggi equiparati), sono conoscibili soltanto all’esito del riconoscimento “procedurale” dei valori di debito (verifica dei crediti di cui all’articolo 52 CAM) e non seguono le sorti del “patrimonio aziendale” (destinato alla vendita ai sensi dell’articolo 60 CAM, ovvero alla vendita e/o al comodato/affitto, a dipendenti e/o terzi, ai sensi dell’articolo 48, comma 8, CAM) ma, proprio in applicazione delle richiamate norme (art. 60 CAM), vengono eventualmente soddisfatte da un separato e più ampio procedimento liquidatorio “endoprocedurale”.

In relazione alla determinazione di una soglia massima di cui alla normativa richiamata dall’ANBSC nella linea guida, i commercialisti la ritengono non applicabile all’incarico di coadiutore che, quale libero professionista appartenente ad una professione ordinistica (peraltro in possesso di ulteriori requisiti di professionalità e moralità propedeutici alla iscrizione all’Albo degli Amministratori Giudiziari), non può essere parificato tout court ad un dipendente pubblico.
Oltre a ciò, nelle osservazioni si evidenzia specificamente:
  • a) i citati professionisti hanno una propria struttura ed organizzazione professionale (composta da mezzi e personale qualificati) con costi che il pubblico dipendente apicale non sostiene. Parimenti i suindicati liberi professionisti sono tenuti, per legge, a sottoscrivere una costosa polizza professionale; analogo obbligo non risulta sussistere per i dipendenti pubblici apicali. Superfluo poi ricordare che i citati liberi professionisti, diversamente dai dipendenti pubblici apicali, sono tenuti a sopportare costi legati all’appartenenza a professioni ordinistiche: tassa d’iscrizione all’albo professionale; ulteriore tassa d’iscrizione all’albo degli amministratori giudiziari; cassa di assistenza della professione di appartenenza; IVA; costi per aggiornamento professionale, etc.;
  • b) i liberi professionisti (amministratori giudiziari e coadiutori) assumono rischi diretti (professionali ma anche di natura civile e penale) nella gestione dei beni; non risulta che, analogo rischio, sia configurabile in capo al pubblico dipendente apicale.

Altre osservazioni riguardano l’iter di pagamento dei compensi, in quanto, secondo i commercialisti, sarebbe opportuno modificare la Circolare ANBSC n. 7591 del 27/05/2011 citata nella linea guida, nella parte in cui prevede l’obbligo di redazione del bilancio annuale in forma ordinaria.

Nel documento in commento, relativamente ai criteri di trasparenza e di rotazione degli incarichi, non si condividono, altresì, le scelte adottate dall’ANBSC concernenti l’introduzione in via meramente amministrativa di limiti al numero degli incarichi (10) e al valore del patrimonio contemporaneamente amministrato (70 milioni di euro), “giacché dette previsioni, lette in combinato disposto con l’introduzione della soglia massima di cui sopra, tendono a disincentivare le migliori e limitate professionalità dall’accettare la nomina a coadiutore preannunciando uno scenario nel quale a fronte di una presumibile elevata domanda di coadiutori da parte dell’ANBSC, corrisponda una limitatissima platea di professionisti neofiti disponibili ad assumere l’incarico a detrimento del buon andamento della Pubblica Amministrazione, della qualità del lavoro e dell’efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa complessiva”.
Si auspica, quindi, una rivisitazione da parte dell’ANBSC di detti criteri, segnatamente prendendo come riferimento diversi parametri, qualitativi e non quantitativi.

Infine, in relazione all’efficacia delle nuove disposizioni, a giudizio dei commercialisti, “l'opzione interpretativa dell’ANBSC appare manifestamente irragionevole ed illogica giacché – si legge -contrastante con il principio di irretroattività e, nel contempo, con il principio di tutela dell'affidamento del professionista”.
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