La presenza in azienda di lavoratori irregolari è circostanza che autorizza l’Ufficio a utilizzare il metodo induttivo, ma l’avviso di accertamento che ne consegue può trovare conferma in sede processuale soltanto se la violazione, tenuto conto della realtà aziendale, è dotata effettivamente di quei caratteri di gravità e sufficienza tali da far ritenere l’intera contabilità complessivamente ed essenzialmente inattendibile. Il giudice di merito è tenuto ad argomentare adeguatamente sul punto.
È quanto emerge dall’ordinanza n. 641/18 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
Gli Ermellini accolgono il ricorso presentato da una S.r.l. alla quale sono stati notificati avvisi di accertamento basati sulla presenza di lavoratori irregolari, con applicazione della sanzione ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.L. n. 12/02, conv. nella L. n. 73/02.
La CTP, riconoscendo che il numero dei lavoratori non in regola corrispondeva a due, ha sensibilmente ridotto la pretesa impositiva; e tale verdetto è stato confermato dalla CTR. Dopodiché la controversia si è spostata in Cassazione, dove la contribuente ha sostenuto, in particolare, “che l’utilizzo di due lavoratori irregolari non autorizzava in alcun modo a presumere una sottofatturazione di ricavi nella misura determinata dal Fisco senza alcuna verifica dell’incidenza del costo del lavoro rispetto al ciclo economico dell’impresa e a determinare, per l’effetto, come i costi sostenuti per il lavoro irregolare abbiano inciso in quella misura sull’attività dell’impresa senza alcuna comparazione o valutazione con l’incidenza degli altri fattori della produzione (materiale, consumo di energia, ecc.).”
Per la Suprema Corte la doglianza è fondata.
Nel caso di specie, il ragionamento dell’Amministrazione finanziaria doveva esse vagliato dalla CTR, ma così non è stato; e tale lacuna ha integrato il vizio di motivazione dedotto da parte contribuente.
Osservano gli Ermellini che la CTR non ha tenuto conto della documentazione e degli elementi addotti dalla società per provare la durata limitata del rapporto di lavoro irregolare, peraltro con due soli soggetti.
Il giudice dell’appello si è limitato a concludere che “si tratta all’evidenza di lavoro nero sì da non potersi presumere che si sia svolto per soli tre giorni mancando la prova, certamente a carico del contribuente, che i lavoratori extracomunitari, abbiano effettivamente lavorato solo per tale brevissimo periodo”.
Per la S.C. dall’affermazione sopra riportata “non è desumibile il criterio logico dal quale il giudicante ha tratto il proprio convincimento, atteso che si è omesso di chiarie, alla luce della realtà aziendale, le ragioni di tale valutazione, non illustrando, in alcun modo, gli elementi fattuali e l’iter logico che hanno condotto a ritenere la violazione contestata dotata di quei caratteri di gravità e sufficienza tali da far ritenere l’intera contabilità inattendibile e giustificare l’accertamento induttivo e quindi gli impugnati atti impositivi.”
La sentenza impugnata, in conclusione, è stata cassata con rinvio. La CTR della Lombardia dovrà riesaminare il caso.
Principi analoghi sono stati espressi in Cass. n. 2466/17. In questo caso la Sezione Tributaria della S.C. ha rimesso la controversia alla CTR perché questa non ha attributo il giusto rilievo alla circostanza dell'esistenza di prestazioni lavorative, senza la preventiva registrazione, che hanno coinvolto solamente due lavoratori, su un totale di 49 dipendenti, e per un periodo di pochi mesi, con una pronta regolarizzazione (assunzione dei lavoratori) in epoca anteriore all'ispezione congiunta della DPL e dell'INPS, per una somma totale di retribuzioni erogate pari a poche migliaia di euro.
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