Non è possibile chiedere il rimborso dell'imposta di registro versata sulla base di un avviso di liquidazione ritualmente notificato che è divenuto definitivo per mancanza di impugnazione. È quanto emerge dall’
ordinanza n. 476/2018 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
Il caso - Con questa pronuncia la S.C. interpreta il
regime transitorio dettato dall'art. 79 del D.P.R. n. 131 del 1986, che ha consentito ai contribuenti di usufruire delle disposizioni più favorevoli introdotte dal medesimo Decreto presidenziale anche in relazione a atti stipulati anteriormente alla data della sua entrata in vigore (1/07/1986).
L’Agenzia delle Entrare ha chiesto alla Suprema Corte l’annullamento della sentenza con cui la Commissione Tributaria Centrale di Torino, nel respingere l’appello dell’ufficio, ha disposto il rimborso richiesto dal contribuente in materia di registro, ritenendo applicabile la norma più favorevole prevista dall’art. 79 d.P.R. n. 131/1986.
La difesa erariale, nel giudizio di fronte alla Suprema Corte, ha denunciato con successo la violazione di legge in relazione agli artt. 79 e 76 T.U.R. e 75 D.P.R. n. 634/72.
Gli Ermellini hanno spiegato che la “clausola di salvaguardia” (art. 79 D.P.R. 131/1986), che fa salvo il trattamento più favorevole introdotto dal D.P.R. n. 131/1986 rispetto a quello precedentemente previsto, dà sì la possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta di registro già pagata,
ma a condizione che - nel caso in cui il pagamento sia stato preceduto da un provvedimento impositivo r
itualmente notificato al contribuente -
lo stesso sia stato tempestivamente impugnato alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni.
Vale pertanto il principio per cui:
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“l’omessa tempestiva impugnazione dell'avviso di liquidazione notificato dall'Ufficio determina la definitività della pretesa tributaria, con conseguente preclusione per il contribuente del diritto a chiedere il successivo rimborso dell'imposta ritenuta erroneamente versata in esecuzione dello stesso avviso” (Cfr. Cass. Sez. 6-5, ord. n. 17617/2016).
Ripetutamente la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la mancata impugnazione dell'avviso di liquidazione - che costituisce atto autonomamente impugnabile ai sensi dell'articolo 19 del D.lgs. n. 546 del 1992 - lo rende “irretrattabile” e preclude la possibilità per il contribuente di far valere, in un momento successivo e attraverso un’istanza di rimborso di quanto asseritamente versato senza titolo, seppure nel rispetto del termine triennale previsto a pena di decadenza dall'articolo 77 del T.U.R., il carattere indebito del relativo versamento (Cass. n. 746/2016);
“In altri termini, in difetto di rituale e tempestiva impugnazione dell'avviso di liquidazione dell'imposta di registro, il rapporto tributario viene fissato - in modo definitivo e non più contestabile - dall'atto impositivo e l'istanza di rimborso non è idonea a riaprire un termine scaduto per contestare un rapporto ormai esaurito, fatto salvo - sussistendone i presupposti - l'esercizio del potere di autotutela da parte dell'Amministrazione finanziaria” (Cass. n. 15191/10, n. 20392/04, n. 3346/11, n. 15008/14, n. 24239/15).
Nella specie la sentenza impugnata è risultata in contrasto con questi principi perché la parte ha presentato istanza di rimborso il 21/02/1986, in relazione all’imposta liquidata e assolta nel 1985 a seguito dell’avviso di liquidazione non opposto.
La Suprema Corte, in conclusione, decidendo nel merito, ha rigetto la domanda introduttiva del contribuente.