Rimani aggiornato!
Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.
La mera inerzia dell’amministratore nel richiedere alla Società i compensi per l’attività prestata non può intendersi come rinuncia tacita agli stessi, trattandosi di un comportamento tutt’altro che inequivoco e, anzi, particolarmente ambiguo. La mera inerzia, infatti, ben può esprimere una semplice tolleranza o riflettere una situazione di pura disattenzione. Peraltro, attribuire rilevanza alla mera inerzia dell’amministratore significherebbe ridurre indebitamente il termine fissato dalla legge per la prescrizione del diritto al compenso.
È quanto ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24139/18, pubblicata il 3 ottobre dalla Sesta Sezione Civile-1.
Un'eventuale gratuità dell'incarico può esistere, di conseguenza, se lo prevede lo statuto della Società interessata o una clausola del contratto di amministrazione, oppure nel caso di rinuncia al credito, visto il carattere disponibile del diritto al compenso di amministratore (in proposito, v., da ultimo, Cass. n. 16530/20181); e l’esercizio di una simile facoltà viene a inquadrarsi nello schema generale della remissione del debito di cui alle norme degli artt. 1236 ss. cod. civ.
Al riguardo, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ravvisato la sussistenza della c.d. rinuncia tacita, che di per sé è ammessa dalla normativa della remissione del debito. E tuttavia, come ha segnalato il ricorrente, secondo la giurisprudenza di legittimità, «per leggere in termini di rinuncia un comportamento non sorretto da scritti o da parole o da altri codici semantici qualificati, occorre comunque che lo stesso faccia emergere una volontà oggettivamente e propriamente incompatibile con quella di mantenere in essere il diritto» (cfr., tra le altre, Cass. n. 16125/2006). Situazione questa che nel caso in esame non si è realizzata.
La Corte territoriale ha assegnato valore di rinuncia a un comportamento meramente omissivo, il quale, in se stesso – rilevano gli Ermellini - «risulta tutt'altro che inequivoco e, anzi, particolarmente ambiguo. Basta pensare cha la mera inerzia ben può esprimere una semplice tolleranza del creditore (come radicata nei più vari motivi) o anche riflettere una situazione di pura disattenzione. Sul piano oggettivo viene, del resto, a imporsi una constatazione comunque decisiva: annettere rilevanza alla mera inerzia del creditore significa, in buona sostanza, ridurre indebitamente il termine fissato dalla legge per la prescrizione del diritto».
E allora i Massimi giudici, in accoglimento del ricorso dell’amministratore, hanno ritenuto doveroso disporre il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, per nuovo giudizio (che tenga conto dei principi richiamati sopra).
_______________________________________
Secondo Cass. civ. sez. V Sent., 22/06/2018, n. 16530: «In materia di accertamento delle imposte sui redditi, l'amministrazione finanziaria non può pretendere, presumendone la onerosità, di assoggettare a tassazione il compenso dell'amministratore di una società in mancanza di prova contraria da parte del contribuente, non potendo la stessa fondare tale pretesa su una presunzione, inconferente in presenza di un diritto disponibile, quale quello dell'amministratore al compenso da parte della società».