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L’accertamento effettuato a carico di un soggetto trasferito all’estero è legittimo fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe del Comune italiano. È quanto si ricava dalla lettura dell’Ordinanza n. 16634/2018 della Corte di Cassazione (Sez. VI-T), con cui è stato accolto un ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia ha annullato avvisi di accertamento sintetico, ex art. 38 comma 4 D.P.R. n. 600/73, per Irpef anni 2007 e 2008, avendo ritenuto dimostrata la residenza fin dal 2006 nel Regno Unito, dove il contribuente svolgeva la propria attività lavorativa, pagando le relative imposte.
Ad avviso degli Ermellini il ricorso erariale è fondato.
I soggetti residenti fiscalmente in Italia devono inserire nella propria dichiarazione anche i redditi esteri che ottengono durante il periodo d'imposta. Ai sensi dell’art. 3 del TUIR, «L'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10 […] e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato». L’art. 2 del TUIR dispone che: «ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile». In ragione di quanto indicato dalle norme citate, i soggetti residenti fiscalmente nel territorio dello Stato sono tassati per i redditi ovunque prodotti.