9 maggio 2011

Befera ricorda ai suoi: “Siamo esattori non estorsori”

Il direttore dell’Agenzia delle Entrate scrive una lettera ai funzionari del Fisco: più etica e serietà nello svolgere i propri compiti

Autore: Susanna Lemma
Troppe segnalazioni che denunciano modi di agire non corretti, abusi e soprusi: i dipendenti che non cambieranno atteggiamento rischieranno il posto.
Parole dure quelle di Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate. Parole che cercano, ancora una volta, di chiarire il ruolo del funzionario del fisco volto a contrastare l’evasione, ma in un’ottica generale di servizio ai cittadini.
Le molte contestazioni, le lamentele sulle loro azioni non può non far nascere dubbi sull’operato svolto. Operato che crea, tra l’altro un forte danno di immagine per l’Agenzia delle Entrate.
Eppure l’iniziativa di Befera non è inedita, già a ottobre dello scorso anno ha inviato ai direttori centrali e regionali una lettera in cui metteva in risalto gli eccellenti risultati conseguiti dall'Agenzia, ma sottolineava anche la necessità di una condotta irreprensibile verso i contribuenti. A sei mesi di distanza da quell’avvertimento “Continuo a ricevere – afferma Befera – segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a rivolgermi direttamente a tutti voi per richiamare ognuno alle proprie responsabilità e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta. E non è tale quando esprime arroganza o sopruso o, comunque, comportamenti non ammissibili nell'ottica di una corretta e civile dialettica tra le parti».
Da qui, la necessità di specificare che il funzionario del Fisco che abusa del proprio potere e mette in atto comportamenti scorretti nei confronti del contribuente rischia il posto. Correttezza ed efficienza sono principi guida ineludibili nello svolgimento dei controlli, che non devono essere considerati “pure esortazioni”, bensì “obblighi precisi di condotta”, rilevanti anche sotto il profilo disciplinare.
Due richiami nel giro di qualche mese è un gesto già di per sé molto forte: vuol dire che il problema c’è e deve essere affrontato.
Condanna decisa anche ai dipendenti che tentano di giustificare i soprusi con l'esigenza di raggiungere gli obiettivi di budget assegnati ad ogni ufficio. «Non so se in questi casi sia più la mediocrità della competenza professionale o la carenza di consapevolezza del proprio ruolo istituzionale che impedisce di comprendere immediatamente quale devastante danno di immagine venga in questo modo inferto all'Agenzia», sottolinea Befera.
Quel che sconvolge è che il direttore dell’Agenzia delle Entrate in fondo chiede di fare un accertamento solo se ha un fondamento solido; di abbandonare una verifica se non emergono elementi concreti tali da giustificare la contestazione e quindi di abbandonare accanimenti pseudo formali; di non pretendere dal contribuente adempimenti inutili e/o ripetitivi; di non ritardare l'esecuzione di sgravi o rimborsi spettanti al 100% .
Ora, senza facili moralismi, queste regole dovrebbero essere pre requisiti e non argomenti oggetto di un richiamo da parte del proprio direttore. L’agenzia dell’Entrate deve verificare, controllare, lottare contro l’evasione per fornire un servizio al cittadini/contribuente e non combatterlo come fosse un nemico.

Comportamenti che non tengono conto di questi assiomi sono «gravi per le conseguenze cui danno luogo» e quindi «gravi saranno anche le relative sanzioni, nessuna esclusa», si legge nella lettera. Tradendo il rapporto di reciproca fiducia e collaborazione con il contribuente, scrive Befera, «non si vede come possa continuare a permanere l'elemento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro con l'Agenzia».
Parole forti, che richiamano tutti i dipendenti dell'Agenzia delle Entrate ad attenersi a un semplice principio, quello del rispetto della controporte, della fiducia e della lealtà, unica strada percorribile affinché in un sistema basato sull'autotassazione i controlli raggiungano effettivamente il loro scopo. In altre parole, conclude il direttore delle Entrate, tutti i funzionari del Fisco devono comportarsi così come vorrebbero essere trattati come contribuenti.

Befera: stop a controlli vessatori. I comportamenti non in linea saranno passibili di sanzioni disciplinari

Un ufficio dell'amministrazione finanziaria che assuma atteggiamenti vessatori verso un cittadino, per esempio quando pretende di portare a casa comunque un "risultato" nonostante l'accertamento sia in realtà infondato, finisce «quasi per apparentarne l'azione (dell'amministrazione finanziaria, ndr) a quella di estorsori». Parole forti che non vengono fuori da un qualunque partecipante a un convegno fiscale, ma dal direttore dell'agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Segno evidentemente di una sensibilità personale, ma anche di un disagio che effettivamente esiste tra i contribuenti, al di là della fondatezza o meno di singole posizioni.

A testimoniare che si tratta anche di una sensibilità personale del direttore dell'agenzia, va ricordato che non si tratta di un'iniziativa inedita. Lo stesso Befera ricorda che a ottobre dello scorso anno aveva inviato ai direttori centrali e regionali una lettera in cui metteva in risalto gli eccellenti risultati conseguiti dall'Agenzia, ma sottolineava anche la necessità di una condotta irreprensibile verso i contribuenti. Dopo l'intervento di ottobre, arrivano oggi un nuovo incoraggiamento e una strigliata alla "truppa". «Continuo a ricevere – afferma Befera – segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a rivolgermi direttamente a tutti voi per richiamare ognuno alle proprie responsabilità e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta. E non è tale quando esprime arroganza o sopruso o, comunque, comportamenti non ammissibili nell'ottica di una corretta e civile dialettica tra le parti».

Insomma c'è un «disagio reale», che non può essere trascurato. E in particolare, Befera stigmatizza i casi in cui «viene riferito che qualcuno, a giustificazione di tali comportamenti, farebbe presente di operare in quel modo per necessità di raggiungere l'obiettivo assegnato».

Per evitare queste situazioni Befera conferma le indicazioni operative già fornite nella precedente lettera. «Se un accertamento non ha solido fondamento – scrive – non va fatto e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudoinfrazioni formali da sanzionare solo per evitare che la verifica stessa sembri essersi chiusa negativamente».

Occorrerà valutare che impatto avrà poi questo messaggio sulla macchina organizzativa. In fondo, le indicazioni di Befera si pongono nella scia delle affermazioni del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, contro gli eccessi sui controlli. E all'indomani di questa presa di posizione un sindacato come il Salfi, per bocca del suo segretario, Sebastiano Callipo, aveva chiesto per i lavoratori del fisco, mal pagati e comunque tutori della legalità fiscale, piuttosto un sostegno dei vertici del dicastero economico che "attacchi". E Roberto Cefalo della Uil Pa, sullo stesso ordine di idee, come primo commento alla lettera di Befera, segnala che i lavoratori del fisco mettono la loro faccia in un'azione pericolosa e complicata: «Meriterebbero – afferma – piuttosto parole di elogio».



La lettera di Attilio Befera ai dipendenti
A ottobre dello scorso anno ho inviato ai Direttori centrali e regionali una lettera in cui mettevo in risalto gli eccellenti risultati conseguiti dall'Agenzia nell'attività di recupero dell'evasione fiscale, sottolineando che la nostra attività deve ispirarsi a due principi basilari: correttezza ed efficienza. Principi che considero fra loro inscindibili. Se la nostra missione ha lo scopo fondamentale di accrescere il livello di adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, dobbiamo distinguere bene fra i comportamenti che favoriscono il raggiungimento di tale scopo e i comportamenti che finiscono invece per vanificarlo. Dicevo in quella lettera, ripresa anche da organi di stampa, che noi rappresentiamo lo Stato nell'esercizio di una delle sue funzioni più autoritative – il prelievo fiscale – e dobbiamo perciò operare in modo da guadagnare sempre più, nell'esercizio di quella funzione, il rispetto e la fiducia che i cittadini devono all'Istituzione di cui siamo rappresentanti.
Continuo però a ricevere segnalazioni nelle quali si denunciano modi di agire che mi spingono adesso a rivolgermi direttamente a tutti voi per richiamare ognuno alle proprie responsabilità e ribadire ancora una volta che la nostra azione di controllo può rivelarsi realmente efficace solo se è corretta. E non è tale quando esprime arroganza o sopruso o, comunque, comportamenti non ammissibili nell'ottica di una corretta e civile dialettica tra le parti.
È chiaro che non tutte queste segnalazioni sono affidabili. Possono certamente essere influenzate da interessi strumentali. Ma non saremmo onesti – e tradiremmo alla fine il senso profondo della nostra missione – se facessimo finta di ignorare che nel complesso possono esprimere un disagio reale.
Rimango poi sconcertato quando mi viene riferito che qualcuno, a giustificazione di tali comportamenti, farebbe presente di operare in quel modo per necessità di raggiungere l'obiettivo assegnato. Non so se in questi casi sia più la mediocrità della competenza professionale o la carenza di consapevolezza del proprio ruolo istituzionale che impedisce di comprendere immediatamente quale devastante danno di immagine venga in questo modo inferto all'Agenzia, al proprio ufficio e ai colleghi, finendo quasi per apparentarne l'azione a quella di estorsori. Operando così, si alimentano purtroppo i peggiori stereotipi che rimbalzano non di rado contro la nostra attività nella comunicazione mediatica, offuscando tutto ciò che di straordinario siamo riusciti a realizzare in questi anni al servizio del Paese con la dedizione, la professionalità e l'intelligenza di cui abbiamo saputo dare prova.
Sento perciò il dovere di ribadire, ancora una volta, punto per punto, le indicazioni date in quella lettera di qualche mese fa. Se un accertamento non ha solido fondamento, non va fatto e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudoinfrazioni formali da sanzionare solo per evitare che la verifica stessa sembri essersi chiusa negativamente. Insomma, se il contribuente ha dato prova sostanziale di buona fede e di lealtà nel suo rapporto con il Fisco, ripagarlo con la moneta dell'accanimento formalistico significa venire meno a un obbligo morale di reciprocità, ed essere perciò gravemente scorretti nei suoi confronti. Allo stesso modo, non è ammissibile pretendere dal contribuente adempimenti inutili, ripetitivi e defatiganti; e costituisce una grave inadempienza ritardare l'esecuzione di sgravi o rimborsi sulla cui spettanza non vi sono dubbi. Devono invece valere sempre – nell'attività di controllo così come in quella di servizio – le modalità di relazione che i contribuenti stessi elogiano nelle lettere che da qualche tempo pubblichiamo su intranet: disponibilità, cortesia, capacità di ascolto, chiarezza nelle spiegazioni, attenta valutazione senza preconcetti di problematiche complesse, volontà di cogliere la sostanza delle questioni e di trovarne tempestivamente la soluzione. Senza trincerarsi dietro esasperanti formalismi o piccole astuzie burocratiche. Ed è ancora più significativo che questi apprezzamenti arrivano magari anche quando (anzi «proprio» quando) gli stessi interessati riconoscono alla fine, nelle loro lettere di plauso, che avevano in realtà torto; e andando un po' a scavare non ci vuole molto a capire che dietro quell'elogio c'è il sollievo e, insieme a questo, il senso di orgoglio (spesso deluso, ma sempre pronto a ravvivarsi) che ognuno di noi prova come cittadino nel sentirsi finalmente parte di uno Stato che non si manifesta nelle modalità minacciose dell'Autorità imperscrutabile (percezione, questa, che, nel linguaggio comune, affiora solitamente in espressioni caratteristiche di una distanza incolmabile, come «Loro fanno così, e basta», «Loro non ti stanno a sentire», «Loro non vogliono capire»), ma nei comportamenti di funzionari che esercitano con autorevolezza il loro potere, dando prova di equilibrio, competenza, misura e ragionevolezza.
Vorrei essere assolutamente chiaro. Non sarei tornato ancora su queste indicazioni, se non ne avvertissi l'importanza cruciale, e se non le considerassi quindi vincolanti e impegnative. In altre parole, sbaglierebbe profondamente chi dovesse magari continuare a ritenerle dentro di sé pure esortazioni e non già obblighi precisi di condotta, la cui inosservanza è rilevante anche sotto il profilo disciplinare. E poiché i comportamenti negativi che ho appena descritto sono gravi per le conseguenze cui danno luogo, gravi saranno anche le relative sanzioni, nessuna esclusa: se determinate azioni impediscono o infrangono la relazione di fiducia fra l'Agenzia e i cittadini, non si vede come possa continuare a permanere l'elemento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro con l'Agenzia.
E se esigiamo serietà e coerenza dai contribuenti, dobbiamo noi per primi dare prova di serietà e coerenza nel rispetto dei principi cui diciamo di ispirare la nostra azione.
Da qualunque parte affrontiamo il discorso, arriviamo così sempre alla conclusione che le ragioni dell'etica e quelle della convenienza dimostrano la loro fondatezza solo se le vediamo alla fine convergere. I comportamenti vessatori sono eticamente scorretti e in quanto tali sono anche controproducenti. Come qualunque altra azione immorale, quella di evadere le imposte – continuando però a fruire dei servizi che gli altri concorrono a finanziare pagandole, invece, le imposte – cerca sempre una giustificazione morale, e ama trovarla, se gliene viene offerta l'opportunità, nella scorrettezza di chi avrebbe il compito, con la trasparenza e la linearità della propria condotta, di indurre al rispetto degli obblighi fiscali. In un sistema basato sull'autotassazione, l'attività di controllo raggiunge effettivamente il suo scopo – la tax compliance – solo se si basa su comportamenti in grado di ispirare fiducia e lealtà.
La regola da seguire è in fondo molto semplice. È una regola di rispetto: comportiamoci tutti, come funzionari del Fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti.
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