Lo sdegno - Professioni additate quale ‘male dell’Italia’, buco nero che ha condotto il nostro Paese verso il baratro della crisi economica. E tutto ciò all’indomani del D.P.R. Severino che ha, tra l’altro, riformato il comparto. A esprimere sdegno in merito a siffatte posizioni, considerate populiste e demagogiche, è il presidente della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, Rosario de Luca. “Fa specie leggere e ascoltare ancora oggi frasi populiste e demagogiche come quelle che siamo costretti a subire in questi giorni – afferma De Luca - Fa specie, particolarmente se si pensa che siamo all'indomani di una riforma delle professioni che ha modernizzato in modo strutturale il sistema ordinistico. Eppure, è ripresa a fiorire la letteratura fantasiosa di chi indica i liberi professionisti come il vero 'male dell'Italia'”.
E ora anche i convegni – Il leader del centro studi dei consulenti del lavoro ha tenuto a segnalare il fatto che il luogo comune basato sull’equazione tra i professionisti e il cosiddetto “male dell’Italia” più che rimanere una semplice posizione isolata è diventato il tema di fondo di non pochi consessi, organizzati con l’intento di screditare il comparto delle libere professioni addebitando ad esse il fardello della grave congiuntura economica che sta vivendo il Paese. “Fa sorridere amaramente – continua Rosario De Luca - sentire queste affermazioni, espresse in modo così convinto da indurre a organizzare appositi convegni sul tema. Incredibile! E il mercato dell'energia? Dei trasporti? Dei servizi bancari? Questi non presentano delle 'incrostazioni'. E che dire della pubblica amministrazione piegata su stessa e incapace di funzionare nelle sue attività fondamentali? E dei costi esorbitanti della politica? E il sistema dei patronati?”.
Le liberalizzazioni e i numeri – Il parere di De Luca è che queste immotivate opinioni espresse in maniera sconsiderata e gratuita non tengono minimamente presente del grave danno inflitto dalle liberalizzazioni al Paese, situazioni spesso passate in sordina poiché non adatte a una politica del convincimento a tutti i costi circa gli effetti benefici di un mercato “selvaggiamente” liberalizzato. I riscontri presentati dal capo del centro studi a “chi sventola le bandiere con su scritto il motto 'liberalizzazioni = prosperità'” evidenziano, ad esempio, un numero pari a duemila edicole chiuse nell’arco di un anno a causa delle liberalizzazioni. “Rilasciare in modo indiscriminato nuove autorizzazioni per la vendita dei giornali non fa né diminuire il prezzo né aumentare il numero di copie vendute: e così come è avvenuto per qualsiasi altro settore oggetto di liberalizzazioni, l'unico risultato raggiunto è quello della chiusura dei piccoli in favore dei grandi, senza nessun vantaggio reale per i cittadini. Esattamente come si vorrebbe che avvenisse nel mondo delle professioni, per favorire gli interessi della multinazionali”. Pertanto, a parlar chiaro non sono le voci di corridoio, quanto piuttosto i numeri, materia prima di ogni professionista onesto e dedito al proprio lavoro. “Oggi - spiega De Luca -i professionisti iscritti a Ordini e Collegi professionali sono circa 2.300.000 garantendo al Paese circa il 16% del Pil. I professionisti risultano ancora, tra le tabelle ufficiali dell'Agenzia delle entrate, i maggiori contribuenti. E in una recente analisi della Guardia di Finanza è emerso che i maggiori 'picchi' di evasione -continua- sono stati riscontrati nel settore del commercio all'ingrosso e al dettaglio (quasi il 25% del totale), delle costruzioni edili (circa il 22%), delle attività manifatturiere (11%) e solo nel 5% dei casi nel mondo delle attività professionali”.
I costi della PA – Ma se da un lato i numeri relativi al comporto delle libere professioni non fanno emergere gravi disequilibri, si può forse dir la medesima cosa per quel che concerne l’ambito delle Amministrazioni pubbliche? La risposta offerta da Rosario De Luca è, senza ombra di dubbio, negativa. “Ebbene, in base a una recente analisi, possiamo quantificare quest'inefficienza in almeno 50 miliardi di euro all'anno - evidenzia il leader della Fondazione Studi - In particolare, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell'attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005-2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil. In Spagna, con un valore assoluto pari a 162 mld, si è attestata al 15,9% del Pil, mentre in Austria al 13,8% del Pil con un valore assoluto di 37 mld; in Germania la medesima spesa si è mantenuta all'11,5% del Pil, per un totale di 273 mld”. In sostanza, a gravare sulla crescita del Paese non è il motore lubrificato delle libere professioni, bensì quello arrugginito della Pubblica amministrazione che in realtà dovrebbe essere preposta proprio a garanzia della crescita e dello sviluppo dell’Italia. “Cosa blocca lo sviluppo delle aziende italiane? La troppa burocratizzazione di un paese ingessato. Dalle autorizzazioni negate ai blocchi per gli adempimenti, dalla richiesta di permessi con attese infinite agli investimenti sfumati dei troppi piani governativi. Eppure, il tessuto industriale italiano è rappresentato da un'associazione mastodontica, per non dire elefantiaca, presente su tutti i tavoli di concertazione con il governo. Una sovrastruttura assolutamente non adeguata ai risultati complessivi prodotti. Il Paese - conclude Rosario De Luca - ancora galleggia tra un'economia che non riparte e riforme, spacciate per fondamentali, che puntano solo a fare cassa. E lo sviluppo? Ancora un lontano miraggio. Ritengo che il Paese abbia bisogno di serietà, di cultura, di sogni e ambizioni per crescere e tornare a garantire un futuro ai nostri giovani. I professionisti vogliono essere protagonisti di questo cambiamento, e tutti gli altri?”