15 marzo 2022

Altro che Spending Review. Nel 2023 torna l'Austerity

Autore: Direttore Antonio Gigliotti
Cari amici,
Che la politica sia abituata a vendere fischi per fiaschi non è una cosa nuova.

Ma se non dovessero essere rivisti gli obiettivi previsti all’interno del PNRR dal 2023 in Italia si rischia una vera e propria macelleria fiscale.

Infatti, dopo l’esponenziale impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime che rischiano di minacciare l’esistenza di decine di migliaia di imprese, entro il prossimo giugno il Governo dovrà presentare un documento che includa le revisioni della spesa pubblica (spendig-review) per gli anni 2023, 2024 e 2025.

L’obiettivo? Definire gli obiettivi di risparmio che “devono riflettere un adeguato livello di ambizione”.

Per chi non abbia studiato le schede tecniche del PNRR è bene ricordare che tra gli obiettivi ed i milestones del Next Generation EU per l’Italia si trova anche un piano di riforma delle politiche di spending-review per migliorare l’efficacia della spesa pubblica, e che presuppone dunque la necessità di stabilire dei criteri per realizzare adeguati risparmi fiscali che favoriscano la crescita.

La spending-review non è di per sé una cosa brutta.

Anzi, è auspicabile.

Soprattutto per identificare spesa pubblica inefficiente (sprechi) per fare in modo che le risorse mal spese possano venire destinate ad altre politiche pubbliche prioritarie.

Certo. Gli italiani hanno sempre avuto un cattivo rapporto con la spending-review.

Questo perché l’approccio italiano alla revisione della spesa non ha mai avuto lo scopo di identificare gli sprechi della spesa pubblica al fine di destinare risorse inefficienti a politiche di spesa volte a migliorare l’efficienza dei servizi o promuovere una maggiore eguaglianza sociale.

No, l’obiettivo della spending-review italiana è sempre stato quello di realizzare tagli trasversali alla spesa pubblica senza che vi fosse mai uno straccio di valutazione ex-post per comprendere le conseguenze qualitative della spesa pubblica.

A darci conferma che quanto si prospetta dietro l’angolo non promette nulla di buono è la “COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, Orientamenti di politica di bilancio per il 2023”.

Infatti, per la Commissione Europea pare esistano già due Europe.

Esistono l’Europa degli Stati Membri dell’Unione con un rapporto debito/PIL superiore al valore di riferimento del 60% e l’Europa degli Stati Membri dell’Unione con rapporto debito/PIL inferiore o uguale al valore di riferimento del 60%.

Per gli i primi è necessario “avviare un graduale aggiustamento di bilancio negli Stati membri con debito elevato per stabilizzare e successivamente ridurre i rapporti debito/PIL”, con “eventuali entrate straordinarie, comprese quelle derivanti da risultati positivi imprevisti sul versante crescita” che “dovrebbero essere utilizzate per la riduzione del debito”.

I secondi, gli Stati membri con debito basso o medio, “dovrebbero dare la precedenza agli investimenti per la duplice transizione”.

Inutile dire dove si collochi l’Italia.

Infatti, è proprio la Commissione Europea a dirsi preoccupata per sei Paesi europei, tra cui il nostro, che nel terzo trimestre del 2021 aveva maturato un rapporto debito/PIL del 155.3%.

La Commissione Europea si impone lapidaria: “Gli sforzi di aggiustamento di bilancio, compiuti in modo graduale e persistente, dovrebbero andare di pari passo con una migliore composizione delle finanze pubbliche per conseguire una riduzione del debito a medio termine”.

Questo significa che “i piani a medio termine devono essere coerenti con l'analisi della sostenibilità del debito degli Stati membri”.

Nel frattempo, la cosiddetta "clausola di salvaguardia generale" del patto di stabilità e crescita continuerà ad applicarsi nel 2022, consentendo alla politica di bilancio di adeguarsi all'evolversi della situazione per far fronte alle sfide immediate poste dalla crisi in Ucraina, che fa seguito a quella generata dalla pandemia.

Ma sulla base delle previsioni d'inverno 2022 della Commissione, ci si attende che la clausola di salvaguardia generale sia disattivata a partire dal 2023, indipendentemente dall’esito della guerra in corso alle porte dell’Europa.

Si salvi chi può.
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