27 giugno 2018

Dichiarazione dei redditi: ridateci la scadenza al 31 maggio

A cura del Direttore Antonio Gigliotti

Fiscal Focus si fa promotore di un’iniziativa che, alla prima impressione, potrebbe sembrare frutto di un colpo di caldo: rivogliamo il termine delle dichiarazioni dei redditi a maggio.

Come è possibile, direte voi, visto che a malapena ce la faremo per il 20 di agosto? E’ esattamente questo il punto: ormai il sistema fiscale italiano è arrivato ad un tal grado di delirio che la grandissima parte dei dichiarativi sono pronti in ultima scadenza. Senza dimenticare che quest’anno possiamo solo ringraziare il destino benevolo che il 30 giugno cada di sabato, facendo così slittare la prima scadenza al 2 luglio, e di conseguenza la seconda al 2 agosto - in pausa estiva - traducendo così il termine ultimo nel 20 agosto. Questo balletto di date, del tutto fortuito, ci permette di guadagnare venti giorni aggiuntivi, tuttavia, è mai possibile ridursi ad essere lieti che ci sia tempo fino al 20 agosto, quando le ‘persone normali’ dovrebbero pensare a godersi il lusso di qualche giorno di ferie?

No, non siamo impazziti, delineiamo meglio la richiesta: ridateci la possibilità di affrontare (come una volta) la questione redditi in tempi ragionevoli. Dateci il tempo di fare le cose senza sommergerci di adempimenti inutili. Dateci regole chiare e tempi certi. Abrogate studi di settore (ed i ‘cugini’ ISA che sono complessi e logorroici come gli Studi di Settore, se non peggio). A queste condizioni i dichiarativi si potrebbero serenamente chiudere entro maggio. E dopo ci si potrebbe, finalmente, dedicare al vero mestiere del commercialista, ovvero la consulenza e l’assistenza ai clienti.

Il punto fondamentale è individuare quelle condizioni che nel tempo hanno comportato il fatto che non si riesca a portare a termine gli adempimenti con tempistiche ragionevoli. Le motivazioni sono presto dette, e possono riassumersi in un criterio di massima: siamo stritolati dalla favola (triste) della digitalizzazione. Complice il fatto che ‘basta un click’, ogni adempimento, anziché snellirsi, si è complicato a dismisura, a partire dalla mostruosità dello studio di settore con le sue mille domande, per arrivare alle LI.PE. ed allo spesometro, passando per il peggio assoluto, il 730 precompilato. E poi i bilanci xbrl, con la tassonomia che cambia ogni anno e le 3000 regole di deposito (smart card sì, smart card no, originale informatico, duplicato informatico… ecc. ecc.), le PEC da aprire e rinnovare, i codici fisconline per leggere le comunicazioni che arrivano sulla Pec, e l’elenco potrebbe essere ancora lunghissimo. Ciò che è accaduto, semplicemente, è che tutto ciò che una volta richiedeva 10 minuti di lavoro produttivo, ora richiede ore e ore di lavoro del tutto inutile.

Giusto pochi giorni fa Luigi Di Maio, a margine della conferenza stampa nella quale ha annunciato la proroga dell’obbligo di fatturazione elettronica per i benzinai, ha dichiarato che digitalizzare deve significare semplificare, e non aggiungere ulteriori adempimenti.

Bene, ci permettiamo allora di sottoporre all’attenzione del Ministro, così come degli Ordini professionali che di queste istanze potrebbero (dovrebbero) farsi carico, che già ora siamo sommersi di adempimenti inutili, e da lì bisogna iniziare a tagliare. Non con il bisturi. Non con un coltellino. Ci serve come minimo una motosega.

Abrogare le LI.PE. è fondamentale, perché se proprio si vuole torturare il contribuente che non riesce ad onorare i propri debiti in tempo si abbia il coraggio di dirlo chiaramente, cancellando il ravvedimento operoso. Quanto meno si eviterebbe di essere presi in giro e di essere costretti ad effettuare milioni di trasmissioni telematiche per mere esigenze di gettito. Si abroghi lo spesometro, o quanto meno lo si riporti a cadenza annuale, con o senza fattura elettronica. Se il problema è, come pare che sia, l’utilizzo fraudolento di fatture inesistenti, non è certo la trasmissione semestrale piuttosto che quella annuale che argina il problema.

Si riveda il meccanismo delle detrazioni di imposta, diventate ormai un dedalo inestricabile, con connessa imposizione di sempre nuove comunicazioni (fondi pensione, asili, assicurazioni, spese funebri, tessera sanitaria…) per la realizzazione di una creatura mitologica, la dichiarazione precompilata, che in un sistema tributario come quello italiano è pura utopia. L’elenco degli adempimenti inutili potrebbe essere infinito, e non occorre nemmeno rivolgersi a professionisti ‘top’ per venire a contatto con la realtà: basta confrontarsi con un qualsiasi, modesto, operatore del settore per essere posti in condizione di capire che così proprio non va.

Tanto per iniziare con una proposta concreta, si abbia il coraggio di rendere noto non solo quanti 730 sono stati presentati, bensì si fornisca il VERO dato di interesse, ovvero quanti 730 sono stati accettati così come risultanti dagli archivi del precompilato. L’esperienza sul campo dei nostri lettori testimonia che su 100 modelli 730, uno (forse), è corretto. Di cosa stiamo parlando, quindi, se non di una marea di informazioni che viaggia inutilmente nell’etere facendo impazzire consulenti e contribuenti sia nel momento in cui i dati devono essere forniti che nel momento in cui tali dati dovrebbero essere utilizzati? La precompilata non funziona, e non potrà mai funzionare fintanto che non si snellisce il sistema a monte.

Così come non potrà funzionare la dichiarazione IVA precompilata, o i quadri di impresa precompilati, a meno che il computer dell’Agenzia delle Entrate non siano anche in grado di compiere, oltre che l’elaborazione di numeri, anche l’arte della lettura del pensiero, per sapere se una certa spesa è inerente o meno, se l’IVA è detraibile in base alla situazione soggettiva del contribuente, e così via.

Chissà che la promessa ‘dual tax’, con il riordino delle detrazioni, non riesca a far tornare - almeno in parte -il sistema legato alla determinazione delle imposte dirette alla normalità. Una normalità fatta di contribuenti che dichiarano quello che devono senza essere sottoposti a fantasiose ricostruzioni statistiche. Una normalità fatta di contribuenti che deducono e detraggono le spese in base ai giustificativi a loro mani, e non in base a trasmissioni che spesso risultano incomplete o errate. Una normalità fatta, come è giusto che sia, anche di sanzioni. Severe, se vogliamo anche più severe di quelle attuali, in caso di frode. Perché se vogliamo giovarci di un sistema fiscale giusto, dobbiamo rapportarci con serietà al sistema stesso.

Una cosa è sicura: la digitalizzazione così come impostata fino ad oggi, se (forse) poteva avere un senso sulla carta, si è rivelata un fallimento assoluto nell’applicazione pratica. E di questo ci auguriamo che si tenga conto in tempi rapidi, perché la fattura elettronica incombe. Lo strumento piace, ci dicono, ma sarebbe opportuno che chi si esprime sul punto provasse l’ebbrezza di trascorrere un paio d’ore in un’azienda, giusto per sapere di che si sta occupando.

Occorre cambiare strada, occorre permettere alle imprese (ed ai loro consulenti) di lavorare non per produrre carta o files, bensì per far crescere il mercato. E, perché no, anche per concedersi il lusso di una settimana di vacanza ad agosto. Chiediamo troppo?
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