16 aprile 2022

Il sogno infranto

Autore: Paolo Iaccarino
Se due colossi del mondo creditizio decidono di bloccare il servizio di acquisto dei crediti fiscali, il Superbonus e tutte le altre occasioni di cessione del credito hanno le ore contante. Una barca alla deriva, prima soggiogata dalle scelte del Legislatore, poi condannata dalle restrizioni degli istituti di credito, non sempre giustificate.

È necessario partire da lontano. L’articolo 121 del DL Rilancio, sin dall’origine, è stato affetto da un peccato originale, l’incomprensibile scelta di escludere dalle attestazioni, asseverazioni e visto di conformità gli interventi diversi da quelli agevolati ai fini del Superbonus. Un atto scellerato, incomprensibile, che ha creato le condizioni affinché le frodi del 2021 fossero possibili.

Ci hanno raccontato, da più voci, che la responsabilità fosse di Poste Italiane, perché poco attenta nella fase di acquisizione. Mentivano. Laddove il visto di conformità era obbligatorio, le frodi si sono rivelate risibili, compatibili in un sistema tributario già affetto dal grande male dell’evasione fiscale. Poste Italiane, invece, agiva in linea con la normativa, secondo la quale, salvo che nei casi di concorso in violazione, il soggetto cessionario risponde solo per l’utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto all’entità ricevuta. I controlli non erano richiesti, né dovuti, benché la propaganda degli istituti di credito abbia tentato di far passare il contrario.

In questa fase di estrema confusione nemmeno i nostri rappresentanti di categoria, o aspiranti tali, hanno colto un messaggio importante. Le frodi hanno fatto breccia laddove era assente l’obbligo di asseverazione e apposizione del visto di conformità. Sono stati i professionisti ad evitare le frodi, come la loro assenza a consentirle. Mentre i nostri rappresentanti cercavano altrove le specializzazioni, sacrificando l’attività di base, queste erano davanti ai nostri occhi.

Alla fine di questo lungo sogno la responsabilità, se proprio vogliamo dirla tutta, è proprio degli istituti bancari e delle grandi società di consulenza chiamate in causa. Volevano salvare il mondo, hanno concorso nel distruggerlo. Era il 2020 quanto su queste stesse pagine (“Non saranno le big4 a salvare il mondo”) si affermava che: “dicevo, la mia prima reazione all’avvento delle società di consulenza è stata certamente una reazione positiva. Nel mio immaginario il loro intervento si sarebbe posto a metà fra il professionista e l’erario, una sorta di controllo preventivo che fosse di supporto al primo e di garanzia per il secondo. I miei auspici, tuttavia, sono rimasti immediatamente delusi. Dalla lettura della documentazione di supporto e dei modelli di dichiarazione sostitutiva richiesti da alcune delle società di consulenza chiamate in causa dai primari istituti bancari si evince chiaramente come l’impostazione sia burocratica, chiaramente e dichiaratamente formale. La documentazione istruttoria, infatti, sembra essere redatta sulla base delle sole considerazioni dell’Agenzia delle Entrate, quelle della contestata circolare 24/E, alcune delle quali apparentemente non rinvenibili nel testo normativo. Le società di consulenza, insomma, si sono presentate come una sorta di alter ego dell’Amministrazione Finanziaria, più attente alle proprie responsabilità che alla volontà espressa dal Legislatore".

Un approccio burocratico tale che, in ogni dove, nega l’irrilevanza dell’errore meramente formale ampiamente descritto all’articolo 119, comma 5-bis, del DL Rilancio e lascia il destino di contribuenti e imprese nelle mani di una procedura e di funzionari troppo ignavi per comprendere le conseguenze drammatiche delle proprie azioni.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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