5 aprile 2022

Sulla transizione energetica si naviga a vista

Autore: Direttore Antonio Gigliotti
“A causa della mancanza di informazioni a livello politico è difficile verificare se sia possibile raggiungere gli obiettivi stabiliti, in quanto le politiche valutate non stanno raggiungendo i traguardi. Il numero e il tipo di politiche potrebbero non essere sufficienti per raggiungere gli obiettivi, in particolare dopo il 2022, poiché per quel periodo le misure devono ancora essere iscritte in bilancio e approvate”. Inizia così la valutazione dettagliata del seguito dato alle raccomandazioni della Commissione Europea del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNEC) ed inoltrata all’Italia nell’ottobre del 2020.

Non di certo una bella prospettiva visto che i potenziali finanziamenti messi a disposizione dall’UE per la realizzazione del PNEC dal 2021 al 2027 sono pari a 153.2 miliardi di euro solo per il nostro Paese.

Per chi non fosse al corrente di cosa sia il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, deve sapere che nel 2019 l’Italia depositò al vaglio della Commissione Europea un piano che prevede entro il 2030 un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra non coperte dal sistema di scambio di quote di emissione dell'UE (non-ETS) pari al 33 % rispetto ai livelli del 2005.

Non solo. Visto che siamo in tema, in materia di sicurezza energetica ed al fine di contenere le fluttuazioni incontrollate dei prezzi dell’energia, il PNEC mira a ridurre il livello di dipendenza da approvvigionamenti esteri (dal 77,7 % nel 2016 al 75,4 % nel 2030 e al 74,6 % nel 2040) e stabilisce livelli per lo stoccaggio supplementare (quasi 1 000 MW entro il 2023, suddivisi tra produzione idroelettrica ed elettrochimica, e 6 000 MW in aggiunta a 4 000 MW di stoccaggio distribuito entro il 2030).

È compito del PNRR invece fornire tutti quegli investimenti necessari a garantire le necessarie infrastrutture per la realizzazione di tale piano.

Ma è proprio in relazione alla sicurezza energetica, tra le ragioni per cui oggi paghiamo un costo unitario dell’energia strabordante, che emergono le prime perplessità della Commissione: “Il PNEC non riesce a raggiungere traguardi specifici e non presenta un calendario preciso. Il piano analizza solo limitatamente il contesto regionale al momento di valutare l'adeguatezza delle risorse nel settore dell'energia elettrica e l'impatto dei meccanismi di remunerazione della capacità e del graduale abbandono degli impianti termoelettrici a carbone in termini di prezzi al consumo”.

Insomma, si sa cosa si dovrebbe fare ma non come ed entro quando.

Senza parlare del fatto che è molto facile fare delle rinnovabili l’ennesima retorica degli annunci.

Infatti la Commissione Europea tira le orecchie all’Italia anche su questo punto specificando che il nostro Paese “non ha dato seguito alla raccomandazione di chiarire gli obiettivi nazionali e gli obiettivi di finanziamento” in materia di innovazione e ricerca. Infatti, il PNEC definitivo “non persegue obiettivi specifici e quantificati”.

Dalla valutazione tecnica del piano nazionale per l’energia e il clima emergono anche gli scricchiolii delle diplomazie. Infatti, la Commissione rimprovera all’Italia di avere intrapreso diverse azioni per rafforzare la cooperazione regionale in tema energetico con i Paesi del Mediterraneo, ma che “non si segnalano scambi con Francia, Germania e Svizzera sulle priorità del PNEC”.

Per quanto riguarda la diversificazione delle fonti, il piano sottolinea l'importanza dell'integrazione delle energie rinnovabili e della diversificazione del gas, principalmente ottimizzando l'uso delle infrastrutture esistenti e sviluppando ulteriormente il mercato del GNL e dei gas rinnovabili.

Secondo la Commissione Europea “il PNEC descrive in dettaglio i progetti specifici necessari per conseguire l'obiettivo di interconnessione elettrica e migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e la diversificazione delle risorse”. Non si definiscono tuttavia “specifici indicatori chiave di prestazione per il settore del gas, benché siano ritenuti di vitale importanza per il sistema energetico nazionale”.

Non da ultimo, la Commissione Europea esprime notevoli perplessità su come l’Italia affronterà problema dell’occupazione. Se è vero che l’Italia stima la creazione di 117 mila posti di lavoro attinenti all’espansione della green economy è altrettanto vero che chi oggi lavora in settori a forte trazione energetica a base di carbonio rischierà quasi sicuramente di perdere il lavoro. A tal proposito, il nostro Paese “ha fornito una descrizione dettagliata del possibile impatto della transizione sull'occupazione, ma non risultano misure per affrontare tale impatto”.

Quella della Commissione, più che una valutazione sembra un epitaffio.
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