9 dicembre 2022

Reato fiscale del legale rappresentante. Casse societarie più tutelate

Cassazione penale, sentenza depositata il 7 dicembre 2022

Autore: Paola Mauro
La sequestrabilità del conto corrente di una Società estranea al reato tributario addebitato al suo amministratore dipende dalla dimostrazione che il predetto abbia utilizzato la delega a operare in banca per conto dell’ente per fini personali o, comunque, per operazioni che nulla hanno a che vedere con l’attività d’impresa.

È quanto emerge dalla lettura della sentenza n. 46246/2022 della Corte di cassazione (Sez. III pen.), depositata il 7 dicembre.

Il caso -La Suprema Corte si è soffermata sul concetto di “disponibilità” richiesta dagli artt. 322-ter cod. pen. e 12-bis del D.lgs. n. 74/00 ai fini dell’ammissibilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nell’ambito di un procedimento riguardante un amministratore societario accusato, a titolo personale - e non, quindi, in ragione della carica ricoperta - del reato fiscale di indebita compensazione ai sensi dell’art. 10-quater del D.lgs. n. 74/00.

In questo frangente, la Società, seppure estranea al reato tributario suddetto, ha subito il sequestro preventivo del suo conto bancario, ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p., il che ha comportato la richiesta al Tribunale del Riesame di annullare il provvedimento cautelare per la parte concernente il patrimonio societario, dovendosi ritenere insufficiente l’esistenza della delega illimitata a operare su detto conto in possesso dell’indagato, in mancanza di indizi in ordine all’interposizione fittizia.

Ebbene, il Tribunale ha respinto la domanda di dissequestro, ma questo verdetto non ha trovato d’accordo i giudici del “Palazzaccio”, che pertanto hanno rinviato la causa al Giudice di merito per nuovo esame.

I Massimi giudici, in particolare, che hanno rilevato, se il denaro è della persona giuridica di cui la persona fisica è amministratore, è necessario verificare la sussistenza di altri elementi che convincano della effettiva «disponibilità».

Infatti, l'amministratore della Società è evidentemente abilitato a operare sul conto nell'ambito dei suoi obblighi contrattuali con la persona giuridica, con la conseguenza che il saldo non è tecnicamente nella sua «disponibilità» essendone lui, appunto, un mero gestore.

Pertanto, la «disponibilità», che consiste nella relazione della signoria di fatto dell'indagato o del condannato sul bene, a prescindere dalle categorie del diritto privato, può essere desunta anche dalla titolarità di una delega a operare su conti correnti o altri rapporti bancari, ma la delega non può ritenersi da sola elemento dimostrativo del potere di esercitare in autonomia le facoltà del proprietario o del possessore delle somme, non foss'altro che per l'esistenza del negozio di mandato che implica il dovere di rendere conto dell'attività svolta al delegante.

In conclusione – dice la Suprema Corte -, “deve sempre esaminarsi il contenuto della delega, per verificare l'esistenza di eventuali limiti; tuttavia, anche laddove non vi siano limiti, è pur sempre necessario accertare - e il relativo onere grava evidentemente sulla pubblica accusa - la presenza di elementi che possano fondare: il giudizio, in fase cautelare, di ragionevole probabilità, circa la disponibilità delle somme da parte del delegato per finalità estranee alla gestione della società. In altri termini, occorre individuare specifici elementi da cui logicamente desumere che, attraverso la delega, il soggetto indagato, nella veste di amministratore della società estranea agli illeciti penali in contestazione, abbia di fatto esercitato poteri corrispondenti a quelli riservati al titolare dei rapporti bancari per finalità del tutto estranee alla normale attività gestionale della società, come, ad esempio, prelevando somme da utilizzare a fini personali, ovvero disponendo di somme a favore di soggetti estranei all’ambito di attività della società, o, ancora, eseguendo operazioni avulse dal perseguimento dell’oggetto sociale”.

Su questo punto (modalità di gestione da parte dell’indagato delle somme depositate sul c/c della Società estranea al reato) il Tribunale del riesame ha omesso qualunque indagine e quindi gli Ermellini hanno annullato l’ordinanza impugnata e rinviato la causa per nuovo giudizio.
Spetterà, dunque, al Giudice del rinvio la verifica della sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti del sequestro per equivalente delle somme giacenti sul conto corrente di una Società estranea al reato, il cui legale rappresentante sia indagato per reati di natura fiscale.
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