7 luglio 2023

Imprenditori agricoli florovivaistico e svolgimento di un’attività commerciale

Autore: Cinzia De Stefanis
Domanda - Un imprenditore agricolo, esercente l’attività florovivaistica, può vendere anche prodotti non provenienti direttamente dalla propria azienda quali piatti, bicchieri, tovaglie, mobili. Si chiede un parere in merito alla problematica delle aziende florovivaistiche che qualificandosi come imprese agricole svolgono poi di fatto una vera e propria attività commerciale.

Risposta -La vendita di prodotti quali bicchieri, piatti, tovaglie e mobili, non risulta giustificabile con la caratteristica di connessione alla specifica attività agricola dell’azienda florovivaistica oggetto del quesito. A conferma di tale tesi richiamiamo la sentenza n. 131 del 2016, sez. V, con la quale il Consiglio di Stato ha respinto un ricorso di un’azienda florovivaistica che, sull’area ove svolgeva l’attività, esponeva anche articoli come barbecue, tavoli e sedie in vimini, vasi in ceramica ed altri accessori, direttamente estranei all’attività agricola di coltivazione di piante in vaso e in terra, estranei qualitativamente e quantitativamente dall’attività di impresa agricola e quindi non ammessi ove non autorizzati, sostenendo che una diversa interpretazione avrebbe portato alla totale contraddizione con la destinazione agricola dell’area e ad una liberalizzazione dell’attività commerciale di un’impresa agricola non ammessa. Ritiene, infatti, il Consiglio di Stato, che “se ad un’azienda florovivaistica deve essere permessa la vendita dei propri prodotti e dei beni strettamente riconducibili alla sua attività, ciò non può comportare che la medesima si renda attiva nella vendita di prodotti che solamente in senso estremamente lato possono avvicinarsi al giardinaggio; dai barbecue carrellati ai vasi in ceramica, dalle padelle alle graticole, dai tavoli e sedie in vimini o in plastica alle case in legno prefabbricate ad uso deposito da giardino”.

L’articolo 2135 del Codice Civile, definisce imprenditore agricolo colui che “… esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse (…). Si intendono comunque connesse le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di recezione di ospitalità come definite dalla legge”.

Riguardo, pertanto, alla possibilità di porre in vendita beni complementari e connessi a quelli prodotti dall’azienda agricola ma non provenienti specificatamente dal settore agricolo, nel caso di un vivaista, riteniamo che possa essere consentita la vendita di quei prodotti i cui materiali di composizione sono stati ottenuti dall’utilizzazione di risorse proprie dell’azienda agricola.

Premesso tutto ciò, nel caso oggetto del quesito, l’azienda agricola effettua l’attività di coltivazione di prodotti in vaso e in terra e pertanto i prodotti e i beni complementari da porre in vendita devono essere connessi a tale specifica attività agricola. Di conseguenza, la vendita di prodotti quali bicchieri, piatti, tovaglie e mobili, non risulta giustificabile con la caratteristica di connessione alla specifica attività agricola dell’azienda florovivaistica.

Per completezza nella risposta forniamo al nostro lettore un esame dell’articolo 4 del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228, riguardo alle possibili modalità di vendita da parte di un imprenditore agricolo.

In particolare il comma 2 dispone che: “La vendita diretta dei prodotti agricoli in forma itinerante è soggetta a comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione e può essere effettuata a decorrere dalla data di invio della medesima comunicazione. Per la vendita al dettaglio esercitata su superfici all’aperto nell’ambito dell’azienda agricola, nonché per la vendita esercitata in occasione di sagre, fiere, manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico o di promozione dei prodotti tipici o locali, non è richiesta la comunicazione di inizio di attività”.

Il successivo comma 4, dispone, inoltre, che: “Qualora si intenda esercitare la vendita al dettaglio non in forma itinerante su aree pubbliche o in locali aperti al pubblico, la comunicazione è indirizzata al sindaco del comune in cui si intende esercitare la vendita. Per la vendita al dettaglio su aree pubbliche mediante l’utilizzo di un posteggio la comunicazione deve contenere la richiesta di assegnazione del posteggio medesimo, ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114”. Il comma 4-bis, disciplina la vendita tramite commercio elettronico e dispone che: “La vendita diretta mediante il commercio elettronico può essere iniziata contestualmente all’invio della comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione”.

Il comma 8-bis consente agli imprenditori agricoli la possibilità di effettuare “…..il consumo immediato dei prodotti oggetto di vendita, utilizzando i locali e gli arredi nella disponibilità dell’imprenditore agricolo, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni generali di carattere igienicosanitario”.

Infine il comma 8-ter dispone che “L’attività di vendita diretta dei prodotti agricoli ai sensi del presente articolo non comporta cambio di destinazione d’uso dei locali ove si svolge la vendita e può esercitarsi su tutto il territorio comunale a prescindere dalla destinazione urbanistica della zona in cui sono ubicati i locali a ciò destinati”.

Dalla fotografia del dettato normativo vigente sopra illustrato, pertanto, la vendita al dettaglio di prodotti agricoli da parte degli imprenditori agricoli può essere esercitata nelle seguenti modalità :
  • su aree pubbliche in forma itinerante, con invio della comunicazione al Comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione (articolo 4, comma 2, primo periodo , del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228,);
  • su superfici all’aperto nell’ambito dell’azienda agricola, senza necessità di comunicazione di inizio di attività (articolo 4, comma 2, secondo periodo, del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228,);
  • in occasione di sagre, fiere, manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico o di promozione dei prodotti tipici o locali, senza necessità di comunicazione di inizio di attività (articolo 4, comma 2, secondo periodo, del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228);
  • in locali aperti al pubblico, con invio della comunicazione al comune in cui si intende esercitare la vendita (articolo 4, comma 4 del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228,);
  • su aree pubbliche su posteggi dati in concessione, con invio della comunicazione al comune in cui è ubicato il posteggio, la quale deve contenere anche la richiesta di assegnazione del medesimo (articolo 4, comma 4 , del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228,);
  • tramite commercio elettronico con invio della comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione (articolo 4, comma 4-bis, del Dlgs 18 maggio 2011, n. 228,).

Agli stessi imprenditori agricoli, ricordiamo che è inoltre, garantita la possibilità di avere posteggi riservati nei mercati istituiti dai Comuni per l’esercizio del commercio su area pubblica (articolo 28, comma 15 del Dlgs 31 marzo 1998, n. 114).

Fermo quanto sopra detto, prendiamo in esame l’articolo 4, comma 1, del Dlgs del 18 maggio 2001 n. 228 il quale dispone che: “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.

Richiamiamo, inoltre:
  • il successivo comma 5, medesimo decreto, che recita: “La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa”.
  • infine, il comma 8, che dispone: “Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998”.

Da quanto sopra abbiamo illustrato ne consegue che effettivamente i produttori agricoli sono legittimati a vendere senza osservare le prescrizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998, anche prodotti non provenienti dai propri fondi (ivi compresi i prodotti alimentari trasformati presso altre aziende agricole, ma anche quelli che risultano oggetto di un ciclo industriale di trasformazione) purché in misura non prevalente e, comunque, entro i limiti di importo fissati, per le diverse tipologie di imprese agricole, dalle suddette disposizioni. In altre parole per mantenere il vantaggio dell’inapplicabilità delle disposizioni contenute nel Dlgs 31 marzo 1998, n. 114, tra le quali anche l’obbligatorietà del possesso dei requisiti professionali per il commercio alimentare al dettaglio di cui all’articolo 71, comma 6, del Dlgs n. 59 del 2010, è indispensabile contenere entro certi limiti (sia quelli percentuali, relativi alla prevalenza, che quelli assoluti, relativi ai ricavi) la vendita di prodotti non provenienti dai propri fondi.
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