Premessa – Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con l’interpello n. 25 del 15 settembre 2014, ha chiarito che l’obbligo di richiedere il certificato antipedofilia sussiste solo al momento di assunzione del personale da adibire ad attività lavorative che stabiliscono un contatto diretto e regolare con minori. Al contrario, l’adempimento non è dovuto se il lavoratore, inizialmente assunto per un’attività che non determinava alcun contatto con minori, sia poi destinato ad attività rientranti nell’obbligo. In ogni caso, l’adempimento non sussiste per le attività del settore alberghiero afferenti al ricevimento, portineria, cucina e pulizia piani.
I quesiti – La Federalberghi – Federazione imprese italiane alberghi e turismo – ha avanzato istanza di interpello per avere maggiori delucidazioni in merito all’applicazione dell’art. 2, D.Lgs. n. 39/2014, di attuazione della Direttiva europea 2011/93/EU concernente la lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori. In particolare è stato chiesto se, ai sensi della disposizione normativa citata, il datore di lavoro debba richiedere il certificato penale del casellario giudiziale nel caso di assunzione di personale per lo svolgimento di attività di portineria, ricevimento, amministrazione, cucina, bar, sala e pulizia dei piani che possano implicare un contatto con minori. La Federazione, inoltre, voleva sapere se: l’obbligo del certificato penale sussista anche con riferimento al personale da adibire al medesimo reparto, laddove in azienda siano presenti tirocinanti e/o lavoratori minorenni; se l’obbligo sussista anche qualora la fattispecie prevista dalla legge si verifichi successivamente alla data di assunzione.
Certificato antipedofilia – Per rispondere ai quesiti su esposti, il Ministero del Lavoro muove dal D.Lgs. n. 39/2014 (entrato in vigore il 6 aprile 2014) che ha lo scopo di dettare nuove disposizioni relative alla lotta contro la pornografia minorile, l’abuso e lo sfruttamento dei minori, dando puntuale attuazione alla Direttiva europea 2011/93/EU. In particolare, l’art. 2 del suddetto decreto legislativo stabilisce che chi intende impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionale o volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, deve richiedere il certificato penale del lavoratore al fine di verificare se lo stesso è stato condannato per alcuni reati specifici. Nel dettaglio, gli atti puniti sono: prostituzione minorile (art. 600-bis del codice penale), pornografia minorile (art. 600-ter), detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater), turismo sessuale con minori (art. 600-quinquies), adescamento di minorenni (art. 609-undicies), nonché l’esistenza di misure interdittive che comportano il divieto di contatti diretti e regolari con minori. Si evidenzia, inoltre, che l’obbligo di richiesta del certificato è in capo al datore di lavoro, fissandolo nel momento in cui quest’ultimo intenda impiegare il lavoratore e dunque esclusivamente prima di effettuare l’assunzione, ovvero nella misura in cui, venuto a scadenza il contratto, il datore di lavoro stipuli un nuovo contratto con lo stesso prestatore.
Risposta del MLPS – Ciò detto, il Ministero del Welfare ritiene che le attività del settore afferenti al ricevimento, portineria, cucina, pulizia piani il datore di lavoro non è tenuto ad assolvere all’obbligo di richiesta del certificato, in quanto in tal casi la platea dei destinatari non è costituita soltanto da minori, né tantomeno risulta preventivamente determinabile. Ne consegue che, anche in presenza di tirocinanti o lavoratori minorenni in azienda, non si richiede al datore di lavoro l’assolvimento dell’obbligo in questione per il personale impiegato nella stessa unità produttiva, quand’anche addetto ad attività di tutoraggio, svolgendosi di norma tale ultima attività in via eventuale e, comunque, complementare all’attività lavorativa principale per il cui svolgimento il lavoratore è stato assunto. Infine, viene ribadito che l’obbligo in questione sussiste al momento dell’assunzione del lavoratore e non anche nel caso in cui, nel corso di un rapporto di lavoro già instaurato, lo stesso sia successivamente spostato ad altra attività rientrante nel campo applicativo della disposizione.