14 aprile 2014

Art. 18. Il punto dei CdL

I CdL riepilogano le norme contenuti nell’art. 18 alla luce degli ultimi orientamenti sui licenziamenti individuali

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – La Riforma Fornero, entrata in vigore nell’estate del 2012, ha notevolmente modificato l'orizzonte dei licenziamenti e ridisegnato l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Nel frattempo si sono susseguiti sul tema diversi pronunciamenti giurisprudenziali e dottrinali che la Fondazione Studi dei CdL analizzano nella circolare n. 6/2013, dedicando particolare attenzione ai contenuti e modalità degli atti di risoluzione del rapporto di lavoro. Vediamoli nel dettaglio.

Licenziamento illegittimo – In merito ai licenziamenti illegittimi, gli esperti della Fondazione Studi evidenziano che i concetti di giusta causa e giustificato motivo soggettivo non hanno subito mutamenti, come anche il giustificato motivo oggettivo. La riforma però ha cambiato il regime sanzionatorio in caso di licenziamento dichiarato illegittimo; in luogo della sola reintegra si è passati a quattro possibili diverse conseguenze sanzionatorie: la tutela reale piena; la tutela reale attenuata; la tutela indennitaria piena e la tutela indennitaria ridotta. In via generale, le prime due tutele si applicano in caso di declaratoria di nullità del licenziamento, mentre la tutela reale attenuata trova accoglimento in ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto o quando i fatti posti a base del licenziamento per GMO si rivelano manifestamente insussistenti. La tutela indennitaria piena, poi, trova accoglimento nelle altre ipotesi di licenziamento dichiarato inefficace.

Nullità di licenziamento – Con riferimento alle ipotesi di nullità dei licenziamenti, si rammenta che l’atto di recesso non può esser motivato da ragioni discriminatorie né comminato a causa di matrimonio, come anche per un motivo illecito determinante. Inoltre, la risoluzione del rapporto non può essere intimata in forma orale (ciò sia in caso di licenziamento individuale che collettivo) e in violazione dei divieti posti a tutela della maternità e paternità. Quindi, la conseguenza di un licenziamento reso contravvenendo a quanto appena precisato è la nullità dell’atto di recesso con reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e condanna del datore alla corresponsione di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Giusta causa e giustificato motivo -
Affinché un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo possa ritenersi lecito, ai sensi della vigente disciplina, i fatti contestati e posti a suo fondamento non devono essere insussistenti e il CCNL applicato non deve prevedere, in luogo del licenziamento, sanzioni di natura conservativa. Si rammenta che il giustificato motivo soggettivo è il notevole inadempimento del lavoratore degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, la giusta causa è di regola inadempimento che, oltre a essere notevole, elimina del tutto la fiducia del datore di lavoro in ordine alla regolarità ed esattezza delle future prestazioni e in quanto tale (cfr. art. 2119 c.c.) “[…] non consente la prosecuzione del rapporto”, legittimando il recesso senza preavviso, previsto invece per il giustificato motivo soggettivo. Risulta essenziale però determinare adeguatamene il fatto contestato, affinché esso non risulti insussistente.

Licenziamento GMO e manifesta insussistenza - Risulta lecito il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: le cui circostanze fattuali siano rispondenti a reale sussistenza; motivato da ragioni di carattere organizzativo: effettivamente sussistenti (quindi concretamente riscontrabili); attuali (non inerenti accadimenti futuri non ancora realizzatisi); specificamente indicate nella comunicazione di recesso; che impongono la soppressione di una specifica posizione lavorativa; per cui non può disporsi un’utile riallocazione neanche adibendo la risorsa a mansioni inferiori; se la soppressione del posto di lavoro interessa posizioni di natura fungibile, dovranno osservarsi i criteri di scelta previsti in caso di licenziamento collettivo.

Termine di efficacia del licenziamento – La legge Fornero, inoltre, ha disposto che il licenziamento intimato all'esito del procedimento disciplinare oppure all'esito della procedura prevista per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato. Sul punto, i CdL non riscontrano molti precedenti giurisprudenziali; tuttavia, la Corte di appello di Milano ha affermato che la società datrice di lavoro ha correttamente individuato il temine di risoluzione del rapporto alla data della contestazione dell’addebito, con cui si disponeva anche la sospensione cautelare dal servizio, affermando che “[…] ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l'adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio - pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo - si salda con il licenziamento legittimando il recesso retroattivamente, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima […]” (cfr. Corte d'Appello Milano, Sez. Civile Sentenza 18 gennaio 2013, n. 1649).
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