12 ottobre 2015

Art. 4: una norma al passo coi tempi

Immutato l’impianto generale dell’art. 4. Ma arrivano nuove norme per controllare a distanza i lavoratori

Autore: Redazione Fiscal Focus
L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970), che per anni è stato un punto inamovibile a garanzia della tutela della privacy del lavoratore, è stato da ultimo riscritto dall’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015. Le novità, in particolare, vanno a toccare la tutela della libertà e della dignità del lavoratore, e fissa i principi in materia di installazione di impianti audiovisivi per il controllo a distanza dell’attività lavorativa.
È bene sottolineare che, oggi come ieri, continua a essere vietato e restano in vigore le specifiche procedure, legate ad accordi sindacali o autorizzazioni del Ministero, affinché possano essere installate apparecchiature “per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale” dalle quali derivi altresì la possibilità di un controllo a distanza. L’unica deroga è riferita agli strumenti (tipo telefonini e computer aziendali) utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Considerato il clamore che le novità hanno suscitato nell’opinione pubblica e l’animato dibattito instauratosi intorno al nuovo impianto normativo, certo non poteva mancare l’analisi della Fondazione Studi dei CdL che, con la circolare n. 20/2015, ha tracciato in maniera chiara i nuovi principi su cui si basa la riforma voluta dalla legge delega lavoro (Jobs Act).

Vecchio art. 4 - L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, nella sua formulazione originaria, disponeva dichiaratamente il divieto del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. La possibilità del controllo era ammessa soltanto quando lo stesso costituiva una diretta e necessaria conseguenza dell’installazione di impianti o altre apparecchiature, richiesta da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro. Sussistendo questi requisiti, prima dell’installazione degli impianti era comunque necessario raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali e, soltanto in caso di mancato accordo, era possibile ottenere l’autorizzazione amministrativa mediante istanza all’Ispettorato del lavoro.

Nuovo art. 4 - In tal contesto, interviene come premesso l’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, recante l’obiettivo di provvedere alla “revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”.
In primis, gli esperti della Fondazione Studi tengono a precisare come il Governo abbia comunque lasciato inalterata la dignità e la riservatezza del lavoratore, che permangono quali diritti la cui tutela è primaria. Infatti, l’adeguamento della norma è volta a importare comunque una disciplina del controllo a distanza su impianti e strumenti, con esclusione della possibilità di controllare la sola prestazione lavorativa del dipendente. Dunque, come più volte detto anche dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, la delega è destinata ad attuare una evoluzione normativa adeguata alle esigenze dell’evoluzione tecnologica, per ridefinire i canoni di congruità del controllo a distanza, rispetto al mutato contesto organizzativo e produttivo.

Volgendo uno sguardo al testo della normativa, il nuovo art. 4 dispone che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”.

Secondo i CdL, “nella formulazione introdotta dal legislatore delegato è apparentemente venuto meno il divieto esplicito. In realtà la previsione che gli strumenti di controllo sono leciti in quanto esclusivamente richiesti dalle esigenze individuate dalla legge, equivale alla conferma del suddetto divieto, tale che anche alla luce della recente riforma, deve ritenersi vietato il controllo a distanza avente ad oggetto la sola prestazione lavorativa”. Quanto affermato dai CdL è confermato dal riferimento alla possibilità di controllo “anche” dell’attività lavorativa, che ribadisce l’esclusione, in ogni caso, di qualsiasi tipo di controllo a distanza finalizzato esclusivamente alla verifica dell’esatto adempimento della prestazione lavorativa, non sorretto da alcuna delle ragioni giustificatrici primarie individuate dalla legge.

Procedimento per l’installazione – La formulazione contenuta nel menzionato art. 23 nulla ha innovato circa i presupposti per l’installazione di impianti audiovisivi o altri strumenti di controllo: la legittimità dell’installazione è subordinata al preventivo raggiungimento di un accordo in sede sindacale e, soltanto in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, grazie all’autorizzazione amministrativa rilasciata dalla direzione territoriale del lavoro su istanza del datore di lavoro.
Al riguardo, unica novità introdotta riguarda le imprese che abbiano dislocato più unità produttive sul territorio, in diverse province o regioni. In tali ipotesi l’accordo deve essere raggiunto con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e la subordinata autorizzazione amministrativa deve essere richiesta al Ministero del Lavoro. Ciò consente di ovviare alle criticità rappresentate dalla normativa previgente che, in assenza di indicazioni specifiche, imponeva il ricorso alle diverse realtà locali, sindacali o amministrative.
Inoltre, scompare dal nuovo art. 4 dello Statuto la possibilità di impugnare in via amministrativa le decisioni relative all’utilizzazione di sistemi di controllo a distanza, prima concessa dal vecchio quarto comma, che consentiva il ricorso al Ministero del Lavoro entro 30 giorni.
Le deroghe – Veniamo ora al punto principale della norma. Il secondo comma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, così come riformato dall’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, ha introdotto due ipotesi eccezionali, che non soggiacciono al regime generale che impone in via preventiva all’installazione sindacale o in subordine l’autorizzazione amministrativa. Infatti, la garanzia procedurale dell’autorizzazione preventiva è esclusa per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze (smartphone, tablet, PC, ecc).
Nell’ambito di queste due fattispecie dunque, non è necessario alcun accordo né autorizzazione preventiva, e l’installazione dell’impianto o la dotazione dello strumento al dipendente è di per sé legittima, ricorrendone i requisiti di legge. È chiaro che l’eccezione è strettamente limitata a quegli strumenti che immediatamente servono al lavoratore per adempiere alle mansioni assegnate.

Ma non è tutto. Le informazioni raccolte possono anche essere suscettibili di valutazione ad esempio di natura disciplinare. Infatti, ai sensi del terzo e ultimo comma del nuovo art. 4 dello Statuto, tali informazioni possono essere utilizzate per qualsiasi fine connesso al rapporto di lavoro (in primis, dunque, per i rilievi di natura disciplinare).

Non bisogna dimenticare, però, che l’utilizzabilità delle informazioni è subordinata, sia riguardo al regime generale, così come per quello delle due eccezioni rappresentate dal secondo comma, alla circostanza che al lavoratore sia data adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e della effettuazione dei controlli, nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. n. 196/2003 (c.d. “Codice della privacy”).
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